domenica 8 giugno 2014

OLTRE LA FOTO... LA STORIA DI AUGUSTO RADO, CAMPIONE SFORTUNATO..

Questa volta la storia di cui vado a raccontare a poco a che fare con Torre Annunziata ma mi ha colpito particolarmente e ho scelto questo personaggio, famoso e sfortunato, per il post di questa settimana.
Augusto Rado, classe 1912 nasce a Milano, giovanissimo diventa una promessa del tennis nazionale.

Nel 1931, nei campionati assoluti italiani, esordisce contro i grandi dell'epoca e nonostante la sua giovanissima età ottiene ottimi risultati facendo una gran bella figura. Il suo gioco moderno, il suo talento oltre alla rapidità di esecuzione, risulta essere molto spettacolare ed efficace. In poco tempo anche il suo esordio in Coppa Davis con la nazionale italiana.

 Ormai per tutti è "il Meazza  del tennis", anche per la Gazzetta.





 Però...c'è un problema.. 

... lasciamo la parola ad un grande giornalista, Gianni Clerici,  che racconta la  storia di Augusto qualche tempo fà in un articolo su "La Repubblica"..

"  POVERO RADO, AVEVA IL TIC
 Al Tennis Club Alassio, la settimana prima del torneo internazionale, giungono due giocatori azzurri, Augusto Rado e Renato Bossi. 2/ I CAMPIONI ALL' incrocio delle righe di servizio, il maestro Sweet aveva piazzato una scatola di cartone giallo oro vuota, con la scritta Dunlop impressa sui lati. Con la battuta, Giovannino doveva esercitarsi a colpirla. Al quarto tentativo, la scatola volò via come un petardo. "Bravo bambino!". Giovannino si volse interdetto. Attendendo la reazione del Maestro guardò i due incauti. Quello che doveva aver gridato era un giovanottone bruno, dal sorriso di attore cinematografico, una specie di Amedeo Nazzari, forse - pensò Giovannino - un domatore. L' amico che gli stava al fianco pareva infatti una scimmietta arguta. Giovannino posò l' indice sulle labbra, ad indicare silenzio. Incredibilmente, quei due impudenti risposero con una risata. Si volse indignato a Sweet. Anche lui rideva. Volarono saluti tra il Maestro e i visitatori. Furono presto in campo, mentre Sweet si affannava a dar loro il benvenuto. Giovannino fu presentato. I campioni si chiamavano Renato Bossi e Augusto Rado: "Due Davis men" spiegò con enfasi rispettosa il Maestro. Giovannino rimase muto, mentre i due spiegavano a Sweet di non aver giocato il torneo precedente, al Country Club di Montecarlo. Dopo l' inverno passato sui campi coperti, non erano ancora a punto, non ancora abituati ai rimbalzi dei campi rossi. E anzi: non voleva Sweet allenarlo un pochino?, domandò Bossi. Giusto un quarto d' ora, il tempo di registrargli i colpi? Giovannino fu invitato a guardare e a imparare. La lezione interrotta sarebbe ripresa più tardi. Rimase presto incantato dai gesti eleganti del giovanotto bruno. Mai, tra i soci del Tennis Club Alassio, aveva visto tanta disinvoltura, un simile equilibrio, una simile aerea sicurezza. Nemmeno Lord Lionel Hambury, nemmeno il colonnello Strauss, né il Conte Galleani avrebbero potuto rivaleggiare con quell' angelo bruno. Rimase a chiedersi, con un rimorso improvviso, se quel tennista non fosse addirittura meglio del suo Maestro, di Mister Sweet, il cui cranio calvo s' imporporava sempre più ad ogni palleggio. Una palla imprendibile Fissata dalla gomina, l' ondulazione nerissima dei capelli di Bossi vibrava appena, nell' istante dell' impatto, per ritornare perfetta al suo posto. Finalmente, dopo un paio di minuti, il campione mise una palla in rete. Ne domandò la ragione a Sweet. Il Maestro spiegò, ripeté nell' aria un gesto impeccabile. Bossi chinò il capo, per ripetere subito il colpo errato. Gli uscì una palla imprendibile. Il campione chiese allora di giocar qualche game. Sweet informò di non essere allenato alla partita: avrebbe comunque fatto del suo meglio. PRESTO il volto di cinquantenne si increspò di rughe affannate. Dai gradini della Club house si levarono applausi per uno smash del campione, che aveva mandato la palla oltre i vasi di gerani. Qualcuno s' informò maligno del punteggio ma, con soddisfazione di Giovannino, nessuno dei due tennisti lo degnò di una risposta. Bossi segnava punti e chiedeva consigli. Il maestro eseguiva nell' aria colpi modello che non riusciva a ripetere con la palla. Come gliene entrò uno, invero miracoloso, Giovannino saltò su entusiasta ad applaudire. Fu rimproverato. "No è gara. Non si applaude". Provò vergogna mista a ribellione. Rado, che gli era rimasto a fianco, gli offrì di giocare qualche colpo. Il campione si piazzò a metà campo, mentre Giovannino si sentiva come la volta che, al mare, l' onda lo aveva mezzo annegato. Gambe discoste, piedi divaricati, Rado fece scivolare dolcemente una palla verso Giovannino. Gli ritornò un passante imprendibile. Incredulo, il campione ripeté la sua blanda messa in gioco. Altro passante. Rado accennò un inchino, increspando le labbra in un sorrisetto divertito. Raccolse le palle, si piazzò sulla riga di fondo. Il suo elegante rovescio fu respinto a fatica da Giovannino, una, due volte. La terza disperata ribattuta svariò sul diritto del campione. Rado colpì, torcendo il collo sino a guardare il campo contiguo, quello di Sweet e Bossi. Nuovamente, Giovannino respinse sul diritto. E ancora il collo scattò come un meccanismo di un automa, di nuovo la palla fu colpita alla cieca. Divertito da quello che gli pareva uno scherzo, Giovannino torse a sua volta il collo, per mancare completamente la palla. Ne rise, rivolto al campione. Gli occhi di Rado erano fissi al rosso del campo, come a qualcosa di ripugnante. Rialzò a fatica il viso, scosse il capo per riprendere stancamente il gioco. Cessarono dopo cinque minuti, richiamati da un ilare Bossi e dall' asfittico Sweet. Rado prese il posto del Maestro, e dalla panca che divideva i campi, Giovannino rimase ad ammirarli incredulo di aver incrociato la racchetta con uno di loro, seppur col più debole. Ad un nuovo, isterico scatto di quel collo ribelle, Giovannino osò chiedere al Maestro il perché. "E' tic" sussurrò Sweet, accennando di parlar piano. "Cosa vuol dire?". "Tic. Una malattia. Non riesce a guardare la palla alla destra del corpo". "Per sempre?". "Fa cure nervose da due anni. Era grande promessa. Coppa Davis contro Gran Bretagna a diciotto anni. Grande promessa". Tic, andava ripetendo mentalmente Giovannino, sorpreso da quella paroletta che aveva, fin lì, associata al battito di un orologio. Rimase avvinto alla partita e, come Rado segnava un punto col suo rovescio di seta, gli sorrideva, o addirittura faceva il gesto di batter le mani, senza rumore. QUANDO i due campioni ebbero finito, con un 6 a 4 per Bossi, e vennero ad asciugarsi il sudore, a riporre nelle borse racchette, palle, asciugamani, Giovannino si volse a Rado, gli chiese l' autografo. "E il mio?" s' informò Bossi. "No, grazie". Rado accennò un sorriso, firmando: "Al mio valoroso avversario del 9 aprile 1939". Giovannino si sorprese per l' assiduità di Renato Bossi e Augusto Rado. Giungevano al Club al mattino, vi rimanevano sino alla sera. "E' il loro lavoro" lo informò il segretario Goodchild. "Non sono più amateurs. Praticamente professionali. Questo non è buono". Il Maestro Sweet gli spiegò sorridendo che il mondo era diviso da tante linee di confine, oltreché da meridiani e paralleli. C' erano i cattolici e i musulmani, i bevitori di tè e quelli di caffè, e così anche gli amateurs e i professionisti. "Potrebbe - domandò il Maestro - un grande musicista suonare senza studiare, senza il tempo di esercitarsi in gamme e scale, provare e riprovare tutti i giorni del mese?". Giovannino aveva un' idea molto vaga di un grande musicista, e diede fondo a tutto il suo buon senso per rispondere "Non penso che potrebbe". Era impegnato in Africa "Tutto bene", ripigliò Sweet. "Bossi e Rado sono come grandi musicisti". Di fronte a quell' accostamento, Giovannino si sentì perplesso. Certo, quello del Maestro Sweet era un lavoro, la mamma si lagnava spesso del costo delle lezioni. Ma Sweet viveva di quei suoi insegnamenti, così come la Principessa. Lavorava come il suo caro papà impegnato in trasporti e commerci, laggiù in Africa. E Bossi, e Rado? CERTO dal giorno del loro arrivo il Club si era animato, la tribuna sempre fitta di ammiratori, di curiosi. Su tutti, Emmy non mancava una palla. Come incatenata ad una sedia a sdraio, accavallava le gambe magre, le torceva, insaponava le mani a secco. Partecipe, Giovannino s' informava se avesse mal di pancia. "Ma no sciocchino. Sto benissimo" e, dopo un istante "Come si chiama, il campione?". "Quello più piccolo, Augusto Rado". "Ma no, sciocchino. L' altro". "Perché t' interessa tanto?". "Gioca divinamente". "Gioca meglio Rado. Ha più classe di Bossi, ma ha il tic". "Guarda che tiro, che meraviglia" si esaltava Emmy in un gemito. "Ma è out". "Cosa conta! Ma dillo come si chiama, alla tua amica Emmy". "Renato Bossi". "E poi?". "Come e poi?". "Bossi di che cosa? E' certo nobile". "Va a ciapà i ratt, dice mia nonna". Emmy aveva occhi soltanto per Bossi. Sorrideva se Bossi sembrava allegro, intristiva se Bossi sbagliava, diceva ad alta voce "bravissimo", e batteva sonoramente le mani. Ad un ultimo battimani, nel mezzo di uno scambio, il campione si rigirò furibondo a chiedere silenzio. Giovannino arrossì per Emmy. Irrigidita scarlatta ma - alfine! - il suo eroe l' aveva notata. Fu chiamato per la lezione. Sweet gli schiacciò l' occhio, poi si fece serio. "Guardare solo la palla" suggerì. "Il resto è maionese".
di GIANNI CLERICI   
05 agosto 1993 sez."


Questa rarissima cartolina, postata in rete dal figlio,
immortala Augusto al momento di una battuta sul campo a Torre Annunziata nel 1941.

Non ricordo di aver mai visto tanta gente assitere ad un incontro di tennis a Torre, nonostante diverse volte abbia giocato, per diletto, su quel campo ed assistito a diversi tornei negli scorsi anni.
Augusto anche in altre occasioni ha calcato quel campo da tennis al Lido Azzurro a  Torre Annunziata.

Siete curiosi di sapere come finisce la storia di Augusto ?
Ho trovato questo altro articolo , ve lo pubblico anche se è un pò forte.... tratto dal blog "Lamine sovrapposte"
"Nell'estate di un po' di anni fà sono partito per Vado Ligure (SV), sono stato chiamato a fare il servizio sostitutivo civile nella Croce Rossa. Io sono obiettore di coscienza in quanto antimilitarista. Nonostante che la legge dicesse che non si dovesse svolgere il servizio civile o militare a più di 300 km di distanza dal luogo di residenza, per me questa legge non è stata applicata. Temo di sapere il motivo, ma non sto qui a descriverlo.
Vado Ligure è un comune che non ha nulla di particolare: una centrale termoelettrica, un porto per navi merci, portacontainer e petroliere, un po' distante dal centro abitato, un lungomare che costeggia la spiaggia. Quello che me lo faceva apprezzare era la sua ubicazione sul mare. Ricordo ancora i pomeriggi d'autunno passati sulla spiaggia a leggere un libro oppure in inverno le passeggiate sulla sabbia con le onde che arrivavano quasi alla strada. E come dimenticare la nevicata di fine anno con la spiaggia e le barche tutte imbiancate. Erano undici anni che la neve non si facesse vedere. E poi tutti gli amici che mi hanno fatto passare un anno indimenticabile.
Un episodio lo ricordo in modo particolare. Ero da un paio di mesi alla Croce Rossa. Non ricordo se avessi fatto già qualche emergenza, ma quella sera c'è stata la prima di quelle che hanno più segnato. Prima di quella esperienza non avevo mai fatto parte di un'associazione o ente di assistenza sanitaria.
Arriva la solita telefonata e partiamo in tre. Ero un po' agitato, come tutte le prime volte. Arrivati sul posto troviamo una signora anziana che con pianto sconvolto dice di andare al primo piano. Non capiamo chi fosse, se una parente o una vicina, dopo, non l'abbiamo più vista. Saliamo. La porta è aperta. In casa, dentro il salone, scorgiamo subito che il pavimento è bagnato da una macchia estesa di liquido indefinibile. Potrebbe essere costituito da diversi liquidi o sostanze organiche. Al centro della stanza un signore anziano, riverso a terra con la faccia sul pavimento immersa nel liquido. É ancora vivo. Non si muove. In casa non c'è nessun altro. Bisogna portarlo in ospedale. I miei due colleghi mi dicono di aspettare, loro scendono giù a prendere il telo per trasportarlo in ambulanza. Io rimango solo con l'uomo. Gli tengo la testa un po' sollevata per evitare che continui a gorgogliare mentre respira. É un po' pesante. Gli dico di aattendere solo un attimo che andiamo al pronto soccorso. Lui non parla vedo che mi guarda con i suoi occhi scuri. Non è uno sguardo impaurito, sembra quasi impassibile. Forse un po' rassegnato. Sono attimi lunghissimi. Arrivano i colleghi. Lo posizionamo nel telo e lo portiamo giù per le scale. La prima di tante sudate che seguiranno.
Questa storia, seppur la prima per me, sarebbe una storia di routine per chi opera nella Croce Rossa. Un particolare, la rende diversa per me, al momento della compilazione del rapporto alla fine del trasporto. Scrivo il nome del paziente: Augusto Rado. A parte il cognome che somiglia ad una marca di orologi svizzeri per me non significava niente, avevo solo il ricordo dei suoi occhi che mi fissavano.
Il giorno successivo, in sede mi chiedono se abbiamo trasportato il signor Augusto Rado. Rispondo di si. Mi dicono che è morto e il responsabile mi chiede se sapessi chi fosse.
«No.» rispondo io.
«É stato un tennista di Coppa Davis negli anni '30.» mi dice lui.
Il giorno dopo lo leggo anche sul "Secolo XIX".
In quel periodo internet già esisteva, ma io non lo usavo. Circa quattro anni dopo nel 2000 cominciando a navigare e ricordando quella sera comincio a cercare notizie su di lui. Non sono tantissime. Era di Milano detto "il Meazza del tennis", è stato tennista di Coppa Davis durante il fascismo."


I campioni del "fascismo".
Gli anni a cavallo tra il secondo e il terzo decennio del secolo non solo furono un periodo di transizione e grandi cambiamenti in ambito federativo, ma lo furono anche per quel che riguardava il tennis giocato e i suoi protagonisti. Assolutamente transitoria, e motivata anche da grandi assenze, fu la vittoria di Oscar de Minerbi negli assoluti del 1931, il quale non fu mai un campione nemmeno a livello nazionale. Fu sempre nei campionati di quell'anno che si fece notare per la prima volta il diciottenne Augusto Rado, grande talento dotato di un gioco rapidissimo e spettacolare, forse sarebbe divenuto un grande campione se non fosse incorso in un misterioso trauma che lo costrinse a giocare solo con i colpi della parte sinistra del corpo fino, addirittura, a farlo servire con il rovescio.

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