venerdì 25 dicembre 2020

Luigi "Gigi" Cucolo- "L'amico Professore"

 

Luigi Cucolo nacque a Torre Annunziata il 5 giugno 1937.

Figlio del noto avvocato Gabriele Cucolo, legale, tra gli altri, dei più importanti e conosciuti pastifici di Torre Annunziata.

Iniziati gli studi classici a Torre Annunziata, Luigi si laurea in Legge a Napoli per poi specializzarsi in penale ed esercitare la professione anche in processi poi divenuti piuttosto noti.

Luigi Cucolo, cerchiato in rosso, tra studenti e docenti di Università- 















Divenne prima avvocato dell’ordine dei Cavalieri di Malta e poi, in Toscana, legale della Deutsche Bank.

Al momento della scelta professionale scelse di seguire il percorso scolastico anche in virtù del suo carattere e delle sue qualità propense all’insegnamento, all’addestramento e all’istruzione dei giovani ragazzi.

Come docente iniziò, molto giovane, insegnando educazione civica all'Istituto alberghiero di Vico Equense, per poi sedere alla cattedra di diritto prima al Graziani e infine al Cesaro, a Torre Annunziata.

Luigi Cucolo era un giovane brillante, solare, con un timbro di voce inconfondibile: il fisico imponente, gli occhiali marcati da cui traspariva la luce dei suoi occhi e la voglia di vivere, la gioia, la serenità.

Era di casa in via Gino Alfani, dove dimorava la famiglia, frequentando, tra l’altro, il Circolo Universitario di Cultura, che si trovava nel palazzo d'angolo a destra del lato mare della strada (prima che fosse abbattuto e ricostruito) in compagnia di amici universitari torresi come Franco Guardasole, Tonino Modugno, Gianni Russo e molti altri divenuti poi noti e stimati professionisti.

Discreto sportivo, amava il calcio e la sua Juventus, dilettandosi nel ruolo di portiere della squadra del Circolo nelle partite dei tornei ai Salesiani e tra le sezioni di interfacoltà all’Università.

Era un buon giocatore di scacchi e amava giocare a carte napoletane, tanto che alcuni amici lo ricordano come campione di “pizzico”.

 

FORMAZIONE

Per ricordarne la personalità, la disponibilità al confronto e i metodi di istruzione abbiamo ascoltato alcune persone che lo hanno conosciuto sia nell’ambito familiare che in quello scolastico, chiedendo il loro ricordo sull’illustre figura di uomo, docente e amico di tutti.

Il primo ricordo è dell'avvocato Giovanni Sparano, amico di vecchia data e cognato di Luigi.

“Era una persona molto buona, socievole e disponibile con tutti. Gentile, professionalmente preparato e molto colto. In poche parole, un uomo speciale! Per me è stato un punto di riferimento. Di persone come Lui (con la L maiuscola) se ne trovano molto poche nella vita. I suoi alunni lo stimavano: per loro è stato un padre più che insegnante. Per me, più che cognato, è stato un fratello maggiore. Non dimenticherò mai le partite a carte, a pizzico, quelle a scacchi, i sistemi e le schedine di calcio che facevamo il sabato con altri nostri amici, oltre che gli “appiccichi” bonari sui risultati delle partite, e infine le passeggiate a Livorno e in tutta la Toscana”.

Ancora oggi, Giovanni conserva sulla sua scrivania una foto molto bella dell’amico e cognato Gigi.

Toccante è anche il ricordo dei suoi alunni, quei ragazzi che poi hanno avuto soddisfazioni professionali importanti nel corso della vita, culminate nei loro incarichi di avvocati, notai, ingegneri e dottori.

Il prof. Luigi Cucolo con alcuni suoi studenti. 



Angela Salio è tra quelle che è rimasta più affezionata alla sua figura di “professore amico”.

“Ci ha fatto amare il diritto, materia di per sé fredda e prevalentemente mnemonica. Abbiamo studiato sui testi universitari senza provare nessuna fatica. Intervallava le sue lezioni profonde con aneddoti della sua vita, facendoci entrare in punta dei piedi nel suo mondo. Abbiamo scoperto così delle sue estati trascorse al Lido Azzurro, quando il bagno era popolato dalle personalità più famose dell'epoca, e delle serate a tema con il meglio dell'allora gioventù torrese. Ci parlava della sua famiglia, dei clienti che difendeva, alcuni dei quali spassosi, con aneddoti che ancora oggi colleghiamo a personaggi che, nel bene e nel male, hanno fatto la storia di Torre. Ci riportava a casa dopo l’orario di scuola con la sua auto e spesso si fermava da “Nunziatiello” per prendere il pane da portare a casa. Non lo prendeva solo per lui, ma anche per noi e non ha mai voluto una lira! Ci accompagnava nelle uscite extrascolastiche. Ricordo una cena dal mitico Gigino, a Vico Equense... Fu l'unico degli insegnanti che decise di essere con noi. Perdemmo l'autobus e insieme ci ritrovammo seduti su un gradino della stazione di Vico a cantare le canzoni di Baglioni fino all'arrivo del bus che ci riportava a Torre. Eravamo ragazzi di 17 anni e uscivamo raramente dalla città. Con lui ci sentivamo al sicuro. Con gli altri insegnanti aveva un bel rapporto di amicizia e quando passavamo per via Gino Alfani, d'estate, li vedevamo cenare e ridere assieme sul mitico terrazzo del parco Belmare”.

Nei ricordi dei suoi ex alunni, altrettanto significativi e divertenti, non mancano i riferimenti alla sua fede calcistica in favore della Juventus, e agli sfottò che reciprocamente si scambiavano il lunedì mattina a scuola.

Ricorda Roberto Camera:

“Da studenti, i momenti più felici li abbiamo vissuti proprio quando era in classe con noi: con la sua voce roca incuteva timore ma poi negli anni abbiamo capito che dietro c’era l’anima dell’eterno ragazzo. Quante discussioni il lunedì mattina, parlando di calcio! Le fedi calcistiche erano opposte e si dibatteva su quale, tra Napoli e Juve, fosse la squadra più forte. Mi diplomai nel 1986 e ricordo che l’anno successivo, quando il Napoli vinse lo scudetto, pensai a lui e al fatto che il lunedì successivo non avrei più potuto prenderlo in giro.

Gli piaceva sedersi sulla cattedra, con noi tutti al centro dell'aula, e chiacchierare di diritto in modo intelligente e a tratti spassoso. Un gran signore”.

Il piacere di stare coi suoi ragazzi lo spingeva a gesti spontanei e anticonvenzionali, inusuali per il ruolo che ricopriva; ma non poteva, e non voleva, reprimere il suo essere un uomo genuino, libero ed espansivo.

Anche Rita Verdezza ne riconosce la grande umanità oltre che la passione con la quale seppe creare quel feeling che è ininterrotto ancora oggi, ad oltre vent’anni dalla sua scomparsa.

“Un grande insegnante, un grande Uomo.

Vi racconto un episodio divertente.

C'eravamo il prof ed io, unici juventini tra 25 terribili tifosi napoletani...

Lui: "Dai Rita, diciamo a questi che differenza c'è tra Platini e Maradona".

Ed io "Prof, il fine perlage… come lo champagne”. Ovviamente eravamo d'accordo per innescare la discussione! Infatti che polemiche e che... risate!”

Carmine Ricciardi esalta la competenza e la preparazione del caro professore:

“Ricordo con passione la figura del mitico professore Cucolo: si, le discussioni del lunedì mattina sulle partite della domenica, ma anche la figura sempre rigorosa nell'illustrare il diritto, materia che ho portato con me per lungo tempo. Un grande docente oltre che un grande amico di tutti i ragazzi”.

L’ultimo ricordo, tenero e nostalgico, lo affidiamo a Rodolfo Babuscio, colui che ha conosciuto gran parte dei personaggi “illustri” della nostra città, anche in virtù del rapporto speciale che aveva con la clientela del suo negozio, simbolo della bellezza, del lusso e dell’eleganza:

“Gigi era una persona gentilissima e piacevole.

La sua magica dimora, che insisteva sulla strada degli innamorati, via Gino Alfani, poteva apparire come un delicato bastione, baciato dal sole e che allungava le sue mire sul nostro azzurro mare.

Si suole dire che “chi non sorride ha qualcosa da nascondere “. Ebbene, Gigi Cucolo per questo era un libro aperto!

Ciao avvocato!”

MATRIMONIO

L’incontro con Carla Sparano, giovane brillante, professoressa e giornalista, fece scoccare la scintilla dell’amore tra i due giovani docenti.

Carla, a ridosso del 1968, svolgeva collaborazione con “La Voce della Provincia” e curava una rubrica, “A colloquio con Carla” che riportava spunti e riflessioni della giovane articolista sulle questioni attuali in quegli anni, parlando di temi che hanno segnato la vita del nostro paese, come le contestazioni dei giovani, ecc.

  Le nozze si svolsero il 25 ottobre 1969 nella Basilica di Santa Chiara a Napoli, con la speciale benedizione del Santo Padre, Il Reverendo Monsignor Giovanni Sparano, zio della sposa, unisce in matrimonio la Dott.ssa Carla Sparano, figlia del Dott. Martino e di Donna Vanna Carrella, con l’Avv. Luigi Cucolo, figlio del compianto Avv. Gabriele e di Donna Chitty Guariglia.


Matrimonio di Luigi Cucolo e Carla Sparano


Compare di anello, l’Avv. Renato Sparano, zio della sposa.

Testimoni: per la sposa il Conte Gaetano de Grassi di Pianura ed il Dott. Benedetto Scotto, vice Prefetto di Napoli; per lo sposo, il Dott. Michele Cappelli, Ispettore Generale Capo di P.S.A.R. e l’Avv. Franco Cucolo, fratello.

La Voce della Provincia, 1969- Raccolta di Antonio Papa-


I festeggiamenti proseguirono nei saloni dell’Hotel Royal, alla presenza, tra gli altri, del Sindaco di Torre Annunziata Giovanni Quartuccio, il Reverendo Monsignor Giovanni Sparano, Il Reverendo Ciro Stanzione, il Conte e la Contessa de Grassi di Pianura, il Dott. Benedetto Scotto e signora, il Dott. Michele Cappelli e signora, la signora Cappelli Ferri, l’Avv. Franco Cucolo e signora, il Grand’Uff. Avv. Vincenzo Zampella e signora, le signorine Maria Maggio e Magda Nives, l’Ing. Vito Del Gaudio e signora, il Dott. Raimondo Marchitiello e signora, il Dott. Alfredo Donadio e signora, la Contessa Vecchi, il Conte Avv. Arturo Vecchi e signora, il Dott. Antonio Di Costanzo e signora, l’Avv. Renato Sparano e signora, la Preside Prof.ssa Giulia Sparano, il Maestro Filippo Ricciardi, l’Ing. Luigi Punzo e signora, il Rag. Enrico Palescandolo e signora, il Cav. Ponzio e signora, ecc.…

Al ritorno del viaggio di nozze la signora Carla riprese la pubblicazione della sua rubrica dalle pagine del periodico cittadino e, nella sua prima pubblicazione, ringraziò tutti coloro che parteciparono al lieto evento.

Luigi Cucolo e la moglie Carla Sparano
















Un male crudele lo rubò all’affetto dei suoi cari il 26 dicembre del 1998 a Livorno dove si era trasferito con la signora Carla e i figli Gabriele e Fabio, a soli 61 anni.

Alla triste notizia, fu grande la commozione che colse tutti coloro che lo conobbero e che, sicuramente, ne avevano conservato il ricordo del suo volto, del suo sorriso, della bontà d’animo dell’amico Gigi.

Un mese dopo, nel trigesimo svoltosi nella chiesa della Trinità, don Pasqualino lo ricordò con una omelia che fece piangere di commozione gli oltre duemila presenti, tanto che l’intero percorso di Via Gino Alfani venne praticamente bloccato dalla fiumana di persone accorse ad omaggiarlo.

Uno dei ricordi più belli di questa storia sono state le parole che mi ha voluto confidare il figlio Gabriele, ricordando che “… il giorno in cui mio padre se n’è andato, non è andato via solo il mio papà, ma il mio miglior amico. Una persona unica e insostituibile. Se con mio figlio riuscirò a lambire la bellezza di quanto mi ha insegnato, avrò esaudito il mio più grande sogno”.

Luigi Cucolo, uomo buono e giusto, amico di tutti, riposa al Cimitero di Livorno.


Grazie a Franco Guardasole, Rodolfo Babuscio, Giovanni Sparano, Angela Salio, Roberto Camera, Rita Verdezza, Carmine Ricciardi per la preziosa testimonianza.

Un grazie, particolare, a Gabriele Maria Cucolo per avermi dato la possibilità di partecipare con questo ricordo a un evento privato della sua famiglia  che mi ha portato alla scoperta e alla conoscenza, purtroppo solo tramite ricordi, della figura umana e straordinaria di suo padre, Luigi "Gigi" Cucolo, l'amico di tutti.

Le foto di Luigi Cucolo, messe gentilmente a disposizione da Gabriele per la pubblicazione di questo post, sono di proprietà della Famiglia Cucolo e non possono essere riprodotte se non con l'approvazione dei familiari. 






venerdì 27 novembre 2020

MIMMO MARESCA, YOUNG LINE- Al passo coi tempi!

 



Per gentile concessione di Mariapia Maresca

Nel 1954, Marilyn Monroe indossò un jeans nel film La magnifica preda e l’anno seguente, il 1955, James Dean fece lo stesso nel cult Gioventù bruciata.

Era la prima volta in quegli anni che due personaggi importanti, due idoli osannati dai giovani di tutto il mondo, indossavano jeans al di fuori del contesto lavorativo in cui tutti erano abituati a vederli indossati.

Ecco, fu quella la differenza e il momento rivoluzionario che ne decretò il successo, i ruoli interpretati dei due divi: Marilyn impersonava una cantante e James un giovane delinquente.

E ‘in questo modo che il cinema trasformò i pantaloni da cowboy in un simbolo di ribellione giovanile, e le nuove generazioni iniziarono a imitarli.

Arrivarono da noi in Italia con qualche anno di ritardo ma, almeno, avemmo la fortuna di conoscere i modelli che, alla lunga, risultarono i migliori.

La storia dell’arrivo del jeans a Torre Annunziata ha un nome e cognome: Domenico “Mimmo” Maresca.

Ma chi era Domenico Maresca?

Nato a Torre Annunziata il 1° agosto del 1938, lo troviamo negli “anni 60” giovane commesso presso uno dei punti vendita piu’ importanti di Torre, “Pisciotti”, che in quegli anni era il punto di riferimento dell’abbigliamento maschile in termini di eleganza, moda e qualità degli abiti, rivenditori di marchi importanti come Grillo e Lebole.

In realtà, il suo stile di vendita non consisteva nello spendere tante parole per convincere la clientela all'acquisto ma si basava sul suo porsi, attento, premuroso, sempre in modo molto garbato di fronte ad ogni richiesta del cliente.

In breve tempo, grazie alle sua qualità, divenne il braccio destro del titolare.  

Di conseguenza, la competenza e la predisposizione naturale nel rapporto diretto con la clientela, oltre al fiuto per gli affari, indussero Mimmo al grande passo, portandolo alla creazione di quel piccolo miracolo, economico, sociale e anche culturale, che fu YOUNG LINE, il negozio al passo coi tempi (e mai definizione fu piu’ azzeccata!).

Una volta entrati nel negozio YOUNG LINE in via Gino Alfani potevi essere sicuro di una cosa sola, e cioè che avresti trovato quello che cercavi, jeans, camicia o maglioncino che fosse.

Uomo dal dialogo facile, sciolto, piacevole, aveva una innata sintonia col mondo giovanile, in grande evoluzione in quegli storici anni, e questo gli facilitava in modo naturale il lavoro.

Sempre sorridente e pronto alla battuta sapeva districarsi anche con l’altro tipo di clientela, quella seria e compita, col suo fare amichevolmente professionale.

Don Mimmo Maresca non è stato solo uno dei commercianti piu’ stimati e amati che Torre Annunziata abbia avuto, ma un punto di riferimento importantissimo per tutti quei giovani che affidarono alla sua incredibile varietà di abbigliamento il cambiamento estetico, forse giunto di pari passo con quello culturale, di cui sentirono la necessità e voglia di attuare in quei favolosi “anni 70”. 

Il pezzo forte, unico, inimitabile, era il Jeans Levi's 501, il simbolo della ribellione, che si poteva trovare solo da lui.

In origine c’era il modello maschile, poi nel 1981 venne lanciato il primo modello pensato per la donna. 

Nel corso di quegli anni YOUG LINE avrà vestito, solo con quel mitico jeans, migliaia di ragazzi della nostra città e dintorni, in quanto la qualità del prodotto, oltre alle caratteristiche umane di “Mimmo”, attiravano le nuove generazioni proprio in quel punto di ritrovo in via Gino Alfani, situato in una delle vedute piu’ suggestive di Torre Annunziata, con la vista del mare sullo sfondo.

Era il super concessionario LEVIS, esclusivista assoluto del jeans più famoso del mondo, e chiunque ne aveva bisogno doveva passare da lui, anche perché in quel negozio aveva un assortimento incredibile!   

All’inizio del 2015, in modo mesto, malinconico, abbassò per l’ultima volta le tre saracinesche di quello storico negozio che lo aveva visto diventare un imprenditore vincente per almeno trent’anni.

Domenico “Mimmo” Maresca ci ha lasciati il 4 aprile 2019 e lo vogliamo ricordare con queste ultime parole:

“Un galantuomo, un signore, uomo d’altri tempi che oggi non esistono più.

Di un’umanità infinita, ma semplice, non sbandierata, un mito di questa città, di una simpatia disarmante, di una praticità emozionante, un maestro di vita per tanti, una colonna portante.

Un piccolo genio.”

Grazie Mimmo Levi's.

Per gentile concessione di Mariapia Maresca

 

*Grazie di cuore a Mariapia Maresca e a Rodolfo Babuscio per avermi aiutato nel ricordo.

 

giovedì 26 novembre 2020

SIr William Robinson- Il discorso del 26 novembre 1836.

 


* Notizie tratte da un articolo di Vincenzo Marasco e pubblicate da TORRESETTE nel 2011.

Il Colonnello Sir William Robinson, alto ufficiale dei Marines della corona britannica, giurò fedeltà alla corte del Re borbonico dopo i servigi prestati durante le campagne di guerra al fianco del Generale Marchese Vito Nunziante per la ricacciata dei napoleonici e la riconquista del Regno. Ma l’importanza del personaggio, a cui la città deve ancora merito, è ben altra, e non è legata solamente alle sue vicissitudini militari, ma anche alle sue intuizioni storiche. Robinson, nel frattempo di stanza a Torre Annunziata, alla direzione della Real Fabbrica d’Armi, venne designato dal suo amico estimatore - divenuto poi Tenente Generale “al di qua del Faro” e che intanto sfruttava in maniera molto esaustiva il suo acume imprenditoriale - alla condotta dei lavori di trivellazione della falesia vulcanica di Capo Oncino alla ricerca di una sorgiva minerale. I lavori di scavo, avviati nel giugno del 1831, oltre alla tanto sospirata e ricercata bolla d’acqua, riesumarono importanti testimonianze murarie di epoca romana. La scoperta di quei reperti non passò di certo inosservata all’occhio attento di Robinson. Egli, appassionato di archeologia e profondo cultore delle materie umanistiche, mettendo fin da subito in campo le sue conoscenze (forse legate alle teorie settecentesche di Carlo Maria Rosini sull’esistenza di luogo ameno denominato dagli antichi come “Oplontis”, poco lontano da Pompei e da Ercolano, e prospiciente alla costa, espresse nel suo “Dissertativo Isagogica”), associò quei ritrovamenti dubbi all’esistenza di quella località fino a quel momento ignorata. Di fatto, ebbe ragione. Quelle scoperte erano le prime vestigia di Oplonti, che ufficialmente rinvenivano alla luce dei tempi dal ventre della terra. Ovviamente, anche in questo caso, il progresso prevaricò. La scoperta del Robinson, benché dettagliata, venne spazzata via, ma non il suo pensiero e le sue convinzioni.

Sir William Robinson morì nel 1836 a Torre Annunziata, vittima del colera, e fu sepolto nel cimitero della nostra città.

Il suo nome è scritto ancora oggi sulla lapide che ricorda le tante vittime di quel terribile morbo del 1836, unite nell’estremo riposo in una fossa comune.

Il 26 novembre 1836 si svolse un commovente discorso funebre dedicato a William Robinson nella Chiesa di Santa Maria del Carmine di Torre Annunziata.

Don Cesare Dalbono fece svolgere la funzione e svolgere i funerali solenni con messa musicale ad opera del Zingarelli ed eseguita dagli alunni del Collegio di Musica napoletano.

 CLICCA IL LINK SOTTO PER LEGGERE IL DISCORSO 

Discorso pronunziato ne' funerali di Guglielmo Robinson (inglese) nella ... - Google Libri

lunedì 23 novembre 2020

SILVESTRO DI MARIA- Il ricordo di un Signore.

Ho visto poche persone amare Torre e il Savoia come le amava lui. Silvestro Di Maria era una delle colonne di quel mitico gruppo di giornalisti torresi che hanno raccontato la nostra città, nel bene e nel male, e il nostro amatissimo Savoia.
È rimasto nel cuore di chiunque abbia avuto il privilegio e la fortuna di conoscerlo perchè era una persona speciale. 
Lo ricordo spesso nel ritrovo abituale degli anni 80 presso l’officina di Eduardo Ammendola, l’elettrauto, covo di appassionati tifosi in cui si mangiava pane e pallone. Gente competente, non per niente i maestri giornalisti sportivi della nostra città, da Catello Coppola a Vincenzo Pinto, fecero di quel luogo il punto di ritrovo per sondare, ascoltare e proporre iniziative e suggerimenti che venivano dalla piazza.
Sempre per il bene del Savoia.
Silvestro ascoltava con la sua calma, articolava le sue idee con una chiarezza assoluta, poi "raccontava".
Non solo lo sport, il Savoia.
 Aveva una visione totale sulla realtà sociale della nostra Torre, precisa, acclarata. 
Il mio ricordo scritto lo affido alla lettera della moglie e pubblicata il 28 novembre 2011 su “Lo Strillone”. 
Erano appena trascorsi cinque giorni dalla sua dipartita, quel maledetto 23 novembre del 2011.
 "Un angelo è venuto dal cielo in un bellissimo giorno di giugno ed è vissuto, accanto a me, brevemente. Ogni giorno mi ha colmata d’amore e di rispetto, i suoi occhi erano solo per me. L’amore che nutriva per sua figlia non conosceva confini. Si preoccupava per lei chiedendole dove fosse quando usciva con gli amici: “Non fare tardi” le diceva e si aspettava che rientrasse a casa prima di addormentarsi. Il suo lavoro lo impegnava molto, amava seguire attentamente la salute degli altri, trascurando, a volte, la sua. Era amante del GIUSTO, Silvestro, uomo dai princìpi ineccepibili, sempre pronto a difendere le proprie convinzioni ma, allo stesso tempo disposto ad ascoltare gli altri. Onestà, chiarezza, serietà, tenacia, semplicità e soprattutto amore erano le sue virtù. Non negava il suo aiuto a nessuno. Chiunque abbia avuto l’occasione di conoscerlo, anche se per pochi istanti, diceva di lui che era una persona speciale proprio come un angelo che, improvvisamente, così come era apparso, è tornato in cielo, in silenzio. Amava tanto la sua città, aveva anche il sogno nel cassetto di ritornare a Torre Annunziata (lui che viveva ad Aversa). Il calcio, per lui, era la vita. Non perdeva una sola partita del suo Savoia e questo gli dava la carica per andare avanti fin quando non è arrivata la sofferenza, quella con la “S” maiuscola, quella che quando ti capita non fa sconti a nessuno. Mi diceva che quando il Signore lo avrebbe chiamato in cielo, avrebbe voluto ritornare nel suo ultimo viaggio, per sempre, a Torre, accanto ai suoi amati genitori, ed è quello che ho fatto e posso dire di aver preso la decisione più giusta della mia vita, perché è lì il suo posto, fra la gente che lo ha sempre amato ed apprezzato. Voglio dirvi grazie. Grazie a tutti voi per l’amore che avete dimostrato, per le vostre belle parole, per il vostro calore. In chiesa, il giorno del suo ultimo saluto ho sentito forte battere il cuore di Torre per il mio Silvestro. Sentirvi vicini mi ha dato pace nell’anima e la rassicurazione che gli starete sempre accanto. Grazie.”

giovedì 19 novembre 2020

RANDALL MORGAN, tra la Costiera e Torre.

Randall Morgan nacque nel 1920 a Knightstown negli USA nello stato dell'Indiana. Frequentò l'higthschool del suo paesino natio per poi continuare gli studi all'Università di Indiana per un paio d'anni. Siccome era amante dell'architettura e delle ceramiche si trasferì a Cincinnati per seguire le relative lezioni all'Università della città. Durante la seconda guerra mondiale venne arruolato nell'esercito fino al 1945. Avendo familiarità con la lingua italiana, che avava appreso all'Università di Iowa, sotto le armi ricoprì il ruolo d' interprete con gli ex prigionieri di guerra italiani divenuti alleati dopo la caduta di Mussolini. Fu in tale veste che approdò per la prima volta al porto di Napoli con una nave che rimpatriava un gruppo di ex prigionieri. Il Golfo di Napoli subito lo incantò, colpito dalla splendita luce dei luoghi, dall'aria limpida e dal mare azzurro e pulito. Dopo pochi giorni ripartì per l'America con Napoli nel cuore. Finita la guerra riprese gli studi all'Università di Columbia di New York dove ottenne la laurea adatta all'insegnamento dell'Arte ma, attirato dalla pittura rinunciò alla carriera d'insegnante per approfondire ed innovare le tecniche del dipingere. In seguito all'assegnazione di una borsa di studio post laurea che ricevette all'età di 29 anni ebbe l'opportunità di ritornare in Italia . Nel mese di novembre del 1949 giunse a Roma con l'obiettivo di lavorare all'Accademia Americana. Purtroppo in quel periodo la Capitale era particolarmente fredda per cui pensò di trasferirsi per un mese ad Amalfi sperando di trovarvi un clima migliore. La Costiera lo avvolse nel suo magico fascino tanto che ritornato a Roma fece le valigie per trasferirsi a Castiglione, un bel paesino vicino ad Amalfi. Lì vi resto fino alla primavera dipingendo. L'estate, invece, la passò a Minori continuando il suo lavoro d'artista. Avendo realizzato svariate opere di pittura astratta partì per New york con la speranza di trovare un gallerista che glieli vendesse. Difatti il gallerista J.B. Neumann accettò le sue proposte artistiche. Dopo un po' rientrò in Italia stabilendosi, questa volta, a Positano dove rimase per quindici anni facendo continui andirivieni con New York dove ogni tanto faceva delle mostre. A Positano aprì anche un Workshop di pittura che diresse per otto anni insegnando a studenti americani in vacanza l'arte della pittura. Divenuta la cittadina costiera troppo affollata e mondana e con troppi svaghi che lo distraevano dal lavoro, pensò di trovarsi un'altra dimora in un luogo più tranquillo. Comprò così una casa a Torca nel 1964. Morgan aveva una Fiat 850 che metteva in un garage del paese perchè dove abitava la strada non consentiva di arrivarci in auto. A Torca non trovò molti disagi, la gente viveva degnamente pur non avendo il benessere di oggi,c'erano tutti i servizi essenziali come l'acqua e la luce, anche se quest'ultima mancava al minimo maltempo. Per i primi quattro anni, anche qui diresse un workshop di pittura in collaborazione con l'hotel Jaccarino di Sant'Agata sui due Golfi. Il pittore visse a Torca fino alla sua morte, avvenuta nel 1994, perchè gli piaceva il clima,la gente, il paesaggio e quella luce così particolare che lo aveva colpito la prima volta che era approdato a Napoli.
Post di https://www.torca.it/file_htlm/morgan.html

mercoledì 11 novembre 2020

AGOSTINO FLABOREA- Calcio, penna e ...taccuino!

AGOSTINO FLABOREA



Ci sono formazioni di squadre che hai visto giocare di cui ricordi partite, calciatori, allenatori, uomini insomma che hanno lasciato ricordi belli e brutti ma che fanno parte della nostra gioventù a cui siamo tanto affezionati.
Poi ci sono quelle squadre che non hai mai visto giocare, quelle di cui i tifosi più grandi di età ti hanno raccontato meraviglie, alle cui fortune hanno contribuito calciatori e uomini di altissimo spessore, tecnico e umano.
Tra le squadre che non ho mai visto giocare ma solo raccontata nelle sue gesta merita di essere menzionato il Savoia 1969-1970.
Non stiamo qui a ricordare tutti i giocatori straordinari che vinsero il campionato davanti alla Turris, sarebbe inutile perché trattasi di nomi ormai divenuti celebri, reclamati come una filastrocca allo scorrere della formazione e al ricordo delle loro epiche sfide nei derby infuocati.
Tra i migliori, mi viene spesso ricordata la caratura tecnica e atletica di Agostino Flaborea, nato il 7 aprile 1949.
Centrocampista dai piedi buoni e dai polmoni d’acciaio era praticamente instancabile.
Venne a Torre per un colpo di fortuna.

“Ero militare a Napoli al distretto vicino piazza Carlo 3, prendevo la vesuviana per andare a Torre Annunziata. 

Quell'anno vincemmo il campionato davanti alla Turris.
Quanti derby Portici, Cava, Pagani, Maddaloni...
La squadra 
Pappalettera,  Malvestiti, Peressin, Crocco, il presidente Gianni Russo, mister Emilio Zanotti, e Giovanni Vitiello, Nodari, Bechelli, Flaborea, Griffi, Boesso, Villa, Busiello, e che squadra! 

Eppure appena all’inizio a solo vent’anni, nella sua prima intervista in città, il buon Agostino da Fossalta di Pordenone, espresse il desiderio di diventare un cronista sportivo una volta terminata la carriera da calciatore!
“Non nego che l’eventualità di poter divenire un giorno cronista sportivo mi attira.
Credo che si tratti di una professione interessante e movimentata, ricca di soddisfazioni. È solo un’aspirazione la mia, ovvio che per adesso devo pensare solo a giocare bene nel Savoia e a Torre Annunziata dove mi trovo molto bene!”

Lasciò il Savoia e Torre Annunziata l'anno successivo per Chieti, insieme all'amico Peressin.

Fortunatamente, tutta quella fretta nel cambiare mestiere non venne messa in atto e il buon Agostino, ancora oggi, continua la sua attività sul campo, tra i ragazzi, col pallone.
“Dopo 15 anni da giocatore professionista e 40 da allenatore dilettante con alcuni anni da allenatore di settore giovanile professionistico. Penso di aver vissuto a livello emotivo tutti quei stati d'animo che questo sport comporta. Delusioni gioie notti insonni, speranze, incertezze su certe decisioni prese, su qualche parola detta senza contare fino a dieci, qualche sfuriata poco controllata, una continua bufera di sentimenti e di emozioni. Quando da allenatore e giocatore scendevo di categoria dentro di me pensavo: le emozioni e tensioni saranno minori, e invece nulla cambiava, il pathos era sempre quello invecchiavo e pensavo, adesso troverò un certo equilibrio e invece tutto mi travolgeva come il primo giorno.
Vista l'età e qualche acciacco, sono ritornato al mio vecchio amore, il settore giovanile. Alleno gli esordienti ragazzini di 12 anni pieni di entusiasmo e gioia di giocare, non ho la presunzione di dire insegno calcio visto che adesso va di moda il " maestro" di calcio ma di portare le mie esperienze di vita calcistica per far vivere il calcio dentro e fuori del campo in un modo costruttivo trasmettendo i giusti valori consigliandoli negli atteggiamenti sbagliati ed errori che fanno parte della crescita di un ragazzo che io stesso ho commesso.
Ancora adesso quando entro dentro lo spogliatoio prima della partita sento le famose farfalle nello stomaco, e al fischio d'inizio della partita che a questo livello è solo un gioco il cuore mi batte ancora forte.
Sicuramente molti diranno che sono un "malato".
 Ma penso che queste emozioni saranno parte di me fino all'ultimo giorno che avrò la forza di sedermi per l'ultima volta in una panchina.
L'amore per il calcio non ha età e categoria, e solo amore.”
E Torre Annunziata?  
 “Ho girato molto con il calcio spesso discuto con la gente e dico sempre che come posto e come gente mi è rimasta nel cuore più di qualsiasi posto. Mi piacerebbe moltissimo tornare a visitarla.”
Agostino Flaborea va sempre di corsa, penna e taccuino possono aspettare…

lunedì 9 novembre 2020

Ad Antonio Amura, Forza Toro! "Caro amico..."

 


Ciao Toro,

proprio adesso, guardando la tua foto, mi rendo conto ancora una volta di quanto la vita sia stata ingiusta con te.

Anzi, di più.

Ci conoscevamo da piccoli e da allora abbiamo iniziato a prenderci in giro per la nostra fede calcistica, bianconera la mia, granata la tua.

Immancabilmente, alla mia domanda sul perché di quella preferenza mi rispondevi: “E’ una fede!”.

E ridevamo.

Sei stato uno tra i pochi che ha avuto la forza e la capacità di abbinare una doppia figura, quella da tifoso e sportivo, forse l’unico che abbia saputo miscelare i due stati d’animo, una prerogativa che solo persone forte interiormente possono coniugare.  

Mai un insulto, un’offesa, un accesso d’ira.

Non sono mai riuscito a spiegarmi come facevi a resistere agli sfottò dopo le sconfitte del tuo “Toro”.

Mi rispondevi: “E’ una fede!”

E ancora, entrambi, di nuovo a ridere…

Ogni volta che arrivavi c’era sempre chi non riusciva a resistere alla tua contagiosa allegria e si aggregava alla scenetta, alla gag, trasformando quel momentaneo incontro in una festa gioiosa e divertente.

Alla fine si finiva sempre a intonare un coro che aveva, spesso, due soluzioni terminali: “Forza Toro!” oppure “Forza Savoia”, la “nostra” squadra del cuore.

Quasi sempre venivano scanditi entrambi!

Eppure questa gioia di vivere che riuscivi a trasmettere è stato per me un grande insegnamento.

Non era solo uno stato d’animo ma un modo di vivere che solo una grande forza interiore, forse l’amore che non ha potuto completamente donarti tuo padre quando era in vita, te lo ha potuto donare dall’alto.

Perché, nonostante tutto, sei stato un ragazzo che ha sofferto molto, già da piccolo.

E ricordo di quando successe nei pressi del vico di San Gennaro, quando tuo padre Michele perse la vita a causa di un terribile diverbio.

Era il 1967 e tu avevi solo 6 anni.

Solo una persona con gran coraggio avrebbe potuto affrontare la vita come hai fatto tu, riuscendo a vincere le paure e l’ingiustizia con una forza d’animo e volontà incredibile.

Era da tanto che non ti vedevo e mi avevano detto che ormai a Torre passavi saltuariamente.

Le ultime volte a Torre, trent’anni fa, ricordo che non parlavi d’altro che di Raniero Di Cunzolo, il forte terzino sinistro del Savoia, un vero idolo per te, come per noi.

Ma i tuoi commenti, le frasi punteggiate, l’esclamazione precisa, rendevano il racconto fluido e incessante.

Uno spettacolo ascoltarti!  

Ti ho rivisto l’anno scorso, a Boscoreale, di sfuggita e subito ti ho cercato con gli occhi tra la folla e dopo avermi riconosciuto ho visto il tuo bel sorriso, arrugginito un po' dal tempo e dalla fatica, ma sempre bello, genuino, vero.

Come al solito, hai alzato quella mano e mi hai salutato come trent’anni fa, come quando ridevamo come due scemi… “Forza Toro!”, e io “Forza Juve!”

Grazie amico mio per esserti ricordato di me dopo tanti anni, dopo tutto quello che hai sofferto nella tua giovane vita.

Spero che quella bella immagine rimanga sempre nella mia mente ogni volta che ripenso a te, come le tante altre che abbiamo condiviso dei nostri anni migliori.

Grazie, ancora, per la bella lezione di umiltà e civiltà che hai saputo donarci, a tutti.

Sicuramente le belle persone come te sono state scelte da Dio per andare in giro ad insegnare al mondo l’amore e il rispetto per il prossimo.

Quello che farai adesso guardandoci da lassù, e per cui, sono certo, mi risponderai:” È una fede!”

FORZA TORO!  

venerdì 6 novembre 2020

Don Alfredo e il bancolotto dei sogni...

 

ALFREDO CANNAVARO

La ricevitoria del lotto in Piazza Cesare Battisti iniziò l’attività nei primi anni 50 quando erano ancora aperte, e lo sarebbero state per tanti anni ancora, le tragiche ferite e conseguenze della guerra.

La “fabbrica dei sogni”, o delle illusioni, fece breccia nella vita degli italiani, specialmente nel popolo napoletano, speranzoso che una bella vincita tramite tre numeri fortunati ricordati in un sogno o che gli fossero stati sussurrati da un parente morto potesse far cambiare in meglio il proprio destino e le condizioni economiche spesso precarie.

I tre giovani impiegati scelti dall’Intendenza di Finanza per Torre Annunziata furono Federico Di Martino, Mario Minelli e suo cognato Alfredo Cannavaro.

A loro venne affidato il compito di gestire il gioco del lotto nella centralissima piazza Battisti, “miez a croce”.

Agli inizi, gli orari di apertura degli impiegati stridevano però con coloro che volevano assicurarsi la giocata già a prima mattina, a causa del duro lavoro di pescivendoli, pescatori, fornai, fruttivendoli, costretti ad essere presenti in fila davanti alla ricevitoria alle prime ore dell’alba in attesa dell’apertura.

In breve tempo agli impiegati venne assegnato un nuovo orario d’inizio attività e, per adeguarsi all’esigenza dei “giocatori”, dovettero anticipare l’apertura alle 6 del mattino, proprio per permettere a tutti di partecipare alle giocate.

Ma c’era un altro problema di non facile soluzione: il lungo tempo di attesa per le giocate.

La posizione logistica della ricevitoria favoriva un enorme numero di clienti fissi che, abbinato ai numerosi giocatori di passaggio della popolare e popolosa zona, rendeva particolarmente affollata la saletta di attesa e spesso si assistevano a scene surreali.

Non c’era il giocatore con una determinata caratteristica ma persone di ogni età e di ogni ceto sociale, dall’industriale all’operaio, dall’ambulante al professionista.

Per velocizzare il tempo delle giocate e snellire le file che si formavano davanti alla piazzetta vennero inseriti i “precari”, impiegati che non avevano una sede fissa, e tra loro ricordiamo Agata Cannavaro, sorella di don Alfredo, la signora Anna Fabbrocino e altre ancora.

Erano quelle che si occupavano delle “copie”.

Ricordiamo che all’epoca le giocate venivano effettuate con dei “registri”: da un lato si segnavano i numeri e il tipo di giocata e la stessa giocata si scriveva sul "biglietto” che poi veniva staccato e consegnato al giocatore; poi i "registri” venivano consegnati entro il sabato mattina all’Intendenza di Finanza.

Prima di consegnare questi registri venivano fatte le copie, cioè si riscrivevano le giocate su appositi registri per controllare in caso di vincita.

Immancabile, sul bancone delle giocate, “La Smorfia”, indispensabile soccorso degli addetti al gioco davanti alle domande, richieste e quesiti che venivano posti dal giocatore al povero impiegato!

Questo tipo di sviluppo del gioco del lotto è andato avanti fino a metà circa degli anni 80.

Ricordo personalmente quando da ragazzo entravo per giocare due fogli interi di quaderni compilati da don Silvio Ricciardi, proprietario della fabbrica del ghiaccio, che mi commissionava già al lunedì mattina, raccomandandomi di recapitarli personalmente nelle mani di don Alfredo e, se fosse stato occupato in altre situazioni, nelle mani di don Federico, a nessun’altro!

Il caro don Silvio non giocava molto, qualche migliaio di lire, ma tantissimi biglietti e a volte mi capitava di stare anche tre ore per aspettare i biglietti giocati.

Giocare la schedina Totocalcio il sabato sera, poi, era un’impresa, perché tutti noi, colpevolmente, aspettavamo l’ultima ora per farlo, tra la rassegnazione generale degli addetti al banco.

Nel 1985, poi, ci fu il ritardo nelle uscite del “34” che provocò un disagio incredibile con la chiusura dei botteghini che non riuscivano a soddisfare le richieste di biglietti da parte del popolo speranzoso.

Tante e tante persone sperperarono tutto quelle che avevano nell’inseguire un sogno di vincita milionaria con quel maledetto numero, uscito nell’ultima estrazione di quell’anno, quando a seguito di uno sciopero degli addetti alle ricevitorie si registrarono una diminuzione delle giocate di circa il sessanta per cento e gran parte dei giocatori si era riversata a giocare presso i primi centri clandestini gestiti dai clan camorristici, il lottonero.

Nel 1987 la privatizzazione ufficiale delle ricevitorie da parte dello Stato garantiva alle stesse la concessione del gioco dietro una percentuale, chiamata in gergo “agio”, praticamente una tassa.

La gestione della ricevitoria fu affidata alla signora Albadora che si avvalse della presenza, ormai carismatica, di personaggi storici del luogo, don Alfredo e Federico.

Qualche tempo dopo iniziava la collaborazione anche l’amico Giovanni Grimaldi a cui era affidato il compito di stilare le “noticine”, i foglietti volanti che lasciavano i clienti per passare poi a ritirare i biglietti una volta giocati.

Si arrivò al 1994 quando il gioco del lotto venne automatizzato.

Praticamente non si trascriveva piu’ il biglietto a mano ma, lo stesso, veniva prodotto da un terminale di gioco, riducendo al minimo gli errori di trascrittura e i tempi di attesa ma facendo scemare il fascino, l’emozione, la partecipazione coinvolgente che appassionava la “creazione” dei numeri.

Verso il 2015 il figlio della signora Albadora vendette la licenza dei giochi ad altre persone, decretando la chiusura della storica Ricevitoria.

Non sono scomparsi nei nostri ricordi le figure carismatiche di tutti quei personaggi, prima tra tutti “Don Alfredo dù banculott”  che hanno contribuito a far sognare intere generazioni di persone che affidarono nelle loro mani i propri sogni, illudendosi con la cabala, con improbabili tecniche matematiche, nella speranza di dare una soluzione ai problemi economici accentuati, purtroppo in questa città, dalla crisi dei pastifici, dalla fallimento della politica industriale, dal crollo del mercato siderurgico degli anni 70, da una classe politica incapace di associare e proteggere una città che all’inizio del secolo era additata ad esempio di capacità, lavorazione ed efficienza nel mondo intero.

La Grande Torre Annunziata.

*GRAZIE A GIOVANNI GRIMALDI SENZA IL QUALE QUESTO POST NON SAREBBE STATO POSSIBILE REALIZZARLO E A GAETANO CANNAVARO.

lunedì 26 ottobre 2020

1935, apre "CAMERA", che festa in città!

 

IL NEGOZIO CAMERA INDICATO DALLA FRECCIA

Siamo a metà degli Anni Trenta.

Erano anni in cui tutto si creava e si rinnovava, ogni giorno, e naturalmente i negozi non erano da meno.

Alberto Camera decise di aprire un nuovo negozio senza badare a spese, lussuoso e degno dei grandi centri cittadini.

Il luogo prescelto venne individuato al Corso Vittorio Emanuele, proprio di fronte alla Chiesa della Parrocchiella, l’Immacolata Concezione.

Il giorno dell’inaugurazione il locale era magnifico, elegante e moderno, probabilmente il più bel salone di materiale elettrico ed armi di ogni genere, proprio al centro della città, nella zona piu’ commerciale di Torre Annunziata.

Lo stile artistico ed i disegni dell’interno meritano di essere ricordati e descritti, ancora oggi, per la loro bellezza.

La prospettiva era di stile Novecento, pregevole lavoro svolto dal Prof. Cocchia di Napoli, tra i primi che si dedicarono all’arte delle costruzioni moderne eseguendo numerose prospettive a Napoli ed a Roma.

Il complesso dei lavori affidato alla ditta Alfonso Esposito, le cui maestranze eseguirono fin nei minimi dettagli il progetto a loro affidato da colui che seguì personalmente tutto il lavoro, l’Ing. Guido Camera.

La mostra era interamente coperta da marmo scuro “lipos di Nabresino”, un marmo particolare che ancora oggi ritroviamo far bella mostra alla stazione Centrale di Milano, mentre il verde chiaro era il “cipollino della Versilia”, con un’intera cornice di “nero del Belgio” ricoperto con una guarnizione di “anticorodal”, metallo di nuova lega, di allora, che molto si addiceva alle moderne costruzioni.

Completava la mostra del negozio una lussuosa pensilina a cassettone in marmo nero del Belgio e cristallo, con dicitura della reclame luminosa “LAMPADE PHILIPS”.

L’insegna, all’esterno, ricordava alla clientela il nome di colui che volle fortemente investire nel commercio cittadino: “CAMERA”

A completamento del vasto assortimento di materiale elettrico, lampadari d’ogni genere, lampade abajaur e lumi da pavimento, il negozio era anche fornito di armi, munizioni, accessori da caccia.

Alle 20:30 di quel 30 giugno 1935, una grande varietà di luci e colori irradiava il negozio, proiettando i raggi lucenti verso l’uscita, proprio sul corso, fra le generali reazioni festanti dei presenti.

Naturalmente ci fu un accorrere enorme di folla e curiosi che volle ammirare le mille luci splendenti e gli svariati articoli esposti al pubblico, il tutto benedetto, naturalmente, dal Parroco don Pasquale Picarelli, della Parrocchia dell’Immacolata.

Uno dei momenti più attesi avvenne, tra il tripudio generale, quando la madrina Lidia Camera infranse la rituale bottiglia di champagne.

Gli onori furono disimpegnati in maniera impeccabile dal proprietario in persona, don Alberto Camera, presente con tutta la famiglia.

Furono almeno un centinaio i personaggi invitati all’evento assieme ai loro familiari, tutti nomi di famiglie note che hanno fatto la storia di Torre nel campo economico e commerciale.

Anche il rinfresco, profuso in gran quantità con gelati, dolci, vermouth e champagne, fu argomento di cui si parlò ancora per diversi giorni a seguito dell’evento.    

L’inaugurazione del negozio di Alberto Camera fu vissuta come una festa pubblica, e fu veramente grande la meraviglia quando la folla entrò nel grande salone, addobbato e fornito e pronto a smerciare in breve tempo grandi novità di assortimento.

Quel giorno particolare sarà rimasto impresso nella memoria della famiglia Camera ma anche in tutti quelli che parteciparono con grande partecipazione al lieto evento.

Proprio in quel 1935, a poche decine di metri più a nord, in piazza Nicotera, Cosimo Crescitelli inaugurava un bar pasticceria altrettanto fornito ed elegante mentre ospitammo in città la Principessa Maria Josè, in occasione dell’inaugurazione dei padiglioni destinati alla cura del TBC e poi non mancò di visitare Torre Annunziata  S. A. R il Principe di Piemonte.

Insomma, era la Grande Torre Annunziata.

*La cartolina, bellissima, fa sempre parte della magnifica collezione di Giuseppe Mesisca a cui faccio un ringraziamento particolare per la disponibilità con cui riesce sempre ad accontentare i miei desideri… J

venerdì 23 ottobre 2020

SALVATORE AMATRUDO, il Presidente dei giovani.

 


Ricordiamo oggi la figura di Salvatore Amatrudo, personalità che ha lasciato un segno indimenticabile nella generazione, specie nei ragazzi, che ha avuto la fortuna di conoscerlo e apprezzarne le doti di allenatore, educatore, docente e soprattutto amico e uomo eccezionale.

Nativo di San Valentino Torio nel 1961, ebbe in Torre Annunziata la sua seconda patria che amò allo stesso modo, stimato e ricambiato affettuosamente dalla popolazione torrese.

Il professore Amatrudo già dal 2001 svolgeva l’incarico di coordinatore del Settore giovanile e scolastico della FIGC Campania e in quegli anni il movimento ebbe una fortissima promozione grazie alle iniziative e ai progetti messi in atto dall’organizzazione da lui presieduta.

Uno di questi progetti, “Sport è vita e legalità” venne presentato proprio a Torre Annunziata presso il Villaggio del Fanciullo nel febbraio del 2008 e aveva l’obiettivo di invitare tutti i giovani all’educazione ed al rispetto delle regole, sia nel campo sportivo che nella vita in generale.

E ancora grazie anche alla sua adesione si deve la presenza a Torre Annunziata, nel 2011, del grande capitano del Milan, Franco Baresi, intervenuto allo Stadio “Giraud” in conferenza stampa, per confermare gli accordi con le scuole calcio della zona.     

Sono innumerevoli i ruoli che Salvatore Amatrudo svolse in quegli anni che lo portarono al vertice nelle attività sportive e culturali tra cui vogliamo ricordare l’inizio della carriera come calciatore, poi allenatore di calcio, con spiccate attitudini alla formazione ed educazione sportiva dei giovani; preparatore atletico degli arbitri (ai massimi livelli nazionali); nell’ambito del Settore Giovanile e Scolastico, Delegato Tecnico all’Attività di Base, prima in seno al Comitato Locale S.G.S. F.I.G.C. di Torre Annunziata, poi in ambito regionale; Presidente del Comitato Regionale Campania del Settore Giovanile e Scolastico, poi Coordinatore federale regionale; Docente di Scienze Motorie (che era anche la Sua laurea) negli Istituti scolastici ed all’Università Parthenope, poi Dottore di ricerca (sempre a Scienze Motorie) presso l’Università di Tor Vergata, a Roma.

All’apice delle sue molteplici funzioni Salvatore Amatrudo si spense  il 24 ottobre del 2012 a Genova per una grave malattia, a soli 51 anni.

“Il Professore”, così come era amabilmente chiamato dai vertici sportivi e scolastici e da tutti quelli che lo conoscevano, lasciò improvvisamente un vuoto enorme, inaspettato, doloroso.

Fino all’ultimo la famiglia fece l’impossibile per evitare la tragedia ma non ci fu nulla da fare.

I solenni funerali si svolsero il 26 ottobre 2012 nella Chiesa del Carmine, a Torre Annunziata.

L’anno successivo si tenne una manifestazione allo stadio Giraud dal titolo "Finisco l’esame e dò un calcio al pallone", a cura dell’Associazione Polisportiva per il Sociale, proprio per ricordare la memoria del caro professore.

E ancora, nel 2018, l'associazione di promozione sociale "Maria Palmieri", con il patrocinio dell'Università Parthenope di Napoli, istituì il "Premio Sport Salvatore Amatrudo", premio annuale rivolto agli studenti universitari, autori delle migliori tesi di laurea in Scienze e Management dello Sport e delle Attività Motorie, a riprova che nonostante gli anni trascorsi dalla scomparsa il ricordo del professore Salvatore Amatrudo rimase ancora presente tra coloro che ebbero la fortuna di incrociare i suoi passi nel cammino terreno.

Ancora oggi è doveroso ricordare personaggi come Salvatore Amatrudo per la passione con cui si impegnò per il progresso del suo territorio e la competenza che ebbe nel portare avanti programmi e progetti adeguati ai diritti e doveri della società allo scopo di favorirne la crescita e l’evoluzione, nel rispetto e nella legalità.

mercoledì 21 ottobre 2020

1978, 21 ottobre e il ponte di via Principio.

 



E poi c’era questo ponte in via Principio che all’epoca, parlo del 1978, rimase chiuso almeno tre mesi per lavori.

Il problema principale era che il ponte attraversava l’autostrada Napoli Salerno e per completare i lavori ci vollero almeno tre mesi durante i quali gli automobilisti furono costretti a viaggiare su un’unica corsia, da Castellammare a Torre Annunziata, formando code e traffico chilometrici.  

In quel periodo passavo tutte le mattine di lì, a piedi, per raggiungere il Centro Formazione Professionale ubicato alla fine della strada e i rumori dei clacson, dei lavoratori, delle auto, dei mezzi pesanti erano di una intensità spaventosa!

Dopo qualche giorno chiusero anche la Via Principio e per raggiungere il Centro dovevo allungare il tratto, passando davanti al Cimitero.

In cosa consistevano i lavori?

Semplice.

Bisognava sostituire le travi in cemento armato perché usurate dal continuo smottamento dovuto all’urto provocato dai camion che passavano sotto il ponte, essendo alto solo 2 metri e sessanta centimetri.

Furono tre mesi d’inferno per chi doveva utilizzare l’autostrada per spostarsi, disagio acuito dalle poche informazioni che la Società che gestiva il tratto diede agli automobilisti, giustamente segnalato da questo articolo del 21 ottobre 1978.

Disagio che pagai anch'io che andavo a piedi!



Don Luigi Bellomo, il cuore del tifo torrese.

*Un tributo a Luigi Bellomo:  il cuore del tifo torrese* Torre Annunziata perse uno dei suoi pilastri sportivi e cittadini con la scomparsa ...