venerdì 6 novembre 2020

Don Alfredo e il bancolotto dei sogni...

 

ALFREDO CANNAVARO

La ricevitoria del lotto in Piazza Cesare Battisti iniziò l’attività nei primi anni 50 quando erano ancora aperte, e lo sarebbero state per tanti anni ancora, le tragiche ferite e conseguenze della guerra.

La “fabbrica dei sogni”, o delle illusioni, fece breccia nella vita degli italiani, specialmente nel popolo napoletano, speranzoso che una bella vincita tramite tre numeri fortunati ricordati in un sogno o che gli fossero stati sussurrati da un parente morto potesse far cambiare in meglio il proprio destino e le condizioni economiche spesso precarie.

I tre giovani impiegati scelti dall’Intendenza di Finanza per Torre Annunziata furono Federico Di Martino, Mario Minelli e suo cognato Alfredo Cannavaro.

A loro venne affidato il compito di gestire il gioco del lotto nella centralissima piazza Battisti, “miez a croce”.

Agli inizi, gli orari di apertura degli impiegati stridevano però con coloro che volevano assicurarsi la giocata già a prima mattina, a causa del duro lavoro di pescivendoli, pescatori, fornai, fruttivendoli, costretti ad essere presenti in fila davanti alla ricevitoria alle prime ore dell’alba in attesa dell’apertura.

In breve tempo agli impiegati venne assegnato un nuovo orario d’inizio attività e, per adeguarsi all’esigenza dei “giocatori”, dovettero anticipare l’apertura alle 6 del mattino, proprio per permettere a tutti di partecipare alle giocate.

Ma c’era un altro problema di non facile soluzione: il lungo tempo di attesa per le giocate.

La posizione logistica della ricevitoria favoriva un enorme numero di clienti fissi che, abbinato ai numerosi giocatori di passaggio della popolare e popolosa zona, rendeva particolarmente affollata la saletta di attesa e spesso si assistevano a scene surreali.

Non c’era il giocatore con una determinata caratteristica ma persone di ogni età e di ogni ceto sociale, dall’industriale all’operaio, dall’ambulante al professionista.

Per velocizzare il tempo delle giocate e snellire le file che si formavano davanti alla piazzetta vennero inseriti i “precari”, impiegati che non avevano una sede fissa, e tra loro ricordiamo Agata Cannavaro, sorella di don Alfredo, la signora Anna Fabbrocino e altre ancora.

Erano quelle che si occupavano delle “copie”.

Ricordiamo che all’epoca le giocate venivano effettuate con dei “registri”: da un lato si segnavano i numeri e il tipo di giocata e la stessa giocata si scriveva sul "biglietto” che poi veniva staccato e consegnato al giocatore; poi i "registri” venivano consegnati entro il sabato mattina all’Intendenza di Finanza.

Prima di consegnare questi registri venivano fatte le copie, cioè si riscrivevano le giocate su appositi registri per controllare in caso di vincita.

Immancabile, sul bancone delle giocate, “La Smorfia”, indispensabile soccorso degli addetti al gioco davanti alle domande, richieste e quesiti che venivano posti dal giocatore al povero impiegato!

Questo tipo di sviluppo del gioco del lotto è andato avanti fino a metà circa degli anni 80.

Ricordo personalmente quando da ragazzo entravo per giocare due fogli interi di quaderni compilati da don Silvio Ricciardi, proprietario della fabbrica del ghiaccio, che mi commissionava già al lunedì mattina, raccomandandomi di recapitarli personalmente nelle mani di don Alfredo e, se fosse stato occupato in altre situazioni, nelle mani di don Federico, a nessun’altro!

Il caro don Silvio non giocava molto, qualche migliaio di lire, ma tantissimi biglietti e a volte mi capitava di stare anche tre ore per aspettare i biglietti giocati.

Giocare la schedina Totocalcio il sabato sera, poi, era un’impresa, perché tutti noi, colpevolmente, aspettavamo l’ultima ora per farlo, tra la rassegnazione generale degli addetti al banco.

Nel 1985, poi, ci fu il ritardo nelle uscite del “34” che provocò un disagio incredibile con la chiusura dei botteghini che non riuscivano a soddisfare le richieste di biglietti da parte del popolo speranzoso.

Tante e tante persone sperperarono tutto quelle che avevano nell’inseguire un sogno di vincita milionaria con quel maledetto numero, uscito nell’ultima estrazione di quell’anno, quando a seguito di uno sciopero degli addetti alle ricevitorie si registrarono una diminuzione delle giocate di circa il sessanta per cento e gran parte dei giocatori si era riversata a giocare presso i primi centri clandestini gestiti dai clan camorristici, il lottonero.

Nel 1987 la privatizzazione ufficiale delle ricevitorie da parte dello Stato garantiva alle stesse la concessione del gioco dietro una percentuale, chiamata in gergo “agio”, praticamente una tassa.

La gestione della ricevitoria fu affidata alla signora Albadora che si avvalse della presenza, ormai carismatica, di personaggi storici del luogo, don Alfredo e Federico.

Qualche tempo dopo iniziava la collaborazione anche l’amico Giovanni Grimaldi a cui era affidato il compito di stilare le “noticine”, i foglietti volanti che lasciavano i clienti per passare poi a ritirare i biglietti una volta giocati.

Si arrivò al 1994 quando il gioco del lotto venne automatizzato.

Praticamente non si trascriveva piu’ il biglietto a mano ma, lo stesso, veniva prodotto da un terminale di gioco, riducendo al minimo gli errori di trascrittura e i tempi di attesa ma facendo scemare il fascino, l’emozione, la partecipazione coinvolgente che appassionava la “creazione” dei numeri.

Verso il 2015 il figlio della signora Albadora vendette la licenza dei giochi ad altre persone, decretando la chiusura della storica Ricevitoria.

Non sono scomparsi nei nostri ricordi le figure carismatiche di tutti quei personaggi, prima tra tutti “Don Alfredo dù banculott”  che hanno contribuito a far sognare intere generazioni di persone che affidarono nelle loro mani i propri sogni, illudendosi con la cabala, con improbabili tecniche matematiche, nella speranza di dare una soluzione ai problemi economici accentuati, purtroppo in questa città, dalla crisi dei pastifici, dalla fallimento della politica industriale, dal crollo del mercato siderurgico degli anni 70, da una classe politica incapace di associare e proteggere una città che all’inizio del secolo era additata ad esempio di capacità, lavorazione ed efficienza nel mondo intero.

La Grande Torre Annunziata.

*GRAZIE A GIOVANNI GRIMALDI SENZA IL QUALE QUESTO POST NON SAREBBE STATO POSSIBILE REALIZZARLO E A GAETANO CANNAVARO.

Nessun commento:

Posta un commento

Campionessa d'Europa! Manila Esposito, la Fata torrese.

Manila Esposito nasce il 2 novembre 2006 all’ospedale di Boscotrecase, ma è torrese al cento per cento, come ci dichiarano mamma Margherita ...