martedì 31 agosto 2021

L' eccidio del 31 agosto 1903. Cronaca di una strage annunciata!

 





Non solo una questione di concime.

Quello che accadde in quell’ultimo giorno di agosto del 1903 non avvenne per caso ma fu, purtroppo, il prevedibile evolversi del clima di minacce e intimidazioni messe in atto dal mondo borghese e padronale locale nei confronti della classe operaia e lavoratrice, spalleggiato dagli asserviti proprietari di giornali di cui IL MATTINO di Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao erano i principali trascinatori.

Per spiegare meglio quello che scatenò quella terribile esecuzione facciamo un passo indietro ed entriamo nel contesto di allora.

Alla fine dell’800 Torre Annunziata fu tra le prime cittadine a contrastare il potere del padronato con l’unione dei piccoli gruppi formati da operai e lavoratori, specialmente tra coloro che lavoravano nei mulini, pastifici e relativo indotto, confluiti nella nascente Camera del Lavoro già nel 1891, la prima in assoluto in Campania, tra le prime in Italia.

La lotta in quegli anni fu cruenta e dispendiosa su entrambi i fronti.

Agli scioperi indetti dai lavoratori per rivendicare migliori condizioni di lavoro rispondevano i massicci licenziamenti messi in atto dai proprietari dei pastifici, coloro che “comandavano” in città, e si andava avanti di questo passo, anno dopo anno.

La “questione” Ponte De Rosa dell’agosto 1903 poco o nulla aveva in comune con le rivendicazioni sindacali, ma prese forza e coraggio proprio dalle dimostrazioni e dal grande sciopero dei pastai di quei giorni, ormai attivo in città da alcuni mesi.

Nel 1903 la lega contadina si era costituita presso la Camera del Lavoro solo da tre o quattro mesi e proprio la questione del concime fu la principale problematica che venne affrontata.

I pozzi neri della città erano svuotati direttamente dai contadini i quali, con piccoli regali di frutta e legumi ai proprietari, si procuravano il concime necessario alla fecondazione delle loro terre.

Il sistema era poco igienico e quindi venne ordinato che gli spurghi si dovessero svolgere con sistemi più moderni.

L’unica ditta in grado di poter disporre di macchine inodori era la Ferrone-Capone che divenne subito monopolizzatrice del servizio.

I contadini dovettero fornirsi necessariamente presso la ditta Ferrone- Capone, la quale, senza nessuna concorrenza che potesse calmierare il prezzo del concime, dapprima mise in atto un ingiustificato aumento del prezzo per poi modificarne la composizione, allungando il composto con acqua.

A questo punto scattarono ancora più veementi le proteste dei contadini che decisero il boicottaggio del concime della Ferrone – Capone.

A metà agosto 1903, la variazione del regolamento sugli orari del prelievo del concime indetto dall’autorità municipali favorì la Ferrone- Capone in maniera clamorosa, impedendo di fatto ai contadini la possibilità di espletare le operazioni di carico del concime per tutti e in breve tempo.

Fu la scintilla che fece scatenare l’inferno!

I contadini torresi si radunarono la mattina del 31 agosto al Ponte De Rosa, meglio conosciuto come “Ponte della Persica”, davanti alla proprietà di Gennaro Stile, colui che aveva accettato la fornitura dalla ditta Ferrone Caputo. Di contro, allertati dalle Autorità e richiesti dagli organi di stampa, agenti municipali, guardie di pubblica sicurezza e carabinieri.

I due schieramenti si ritrovarono uno davanti all’altro, in un clima di grande tensione.

Improvvisamente, il lancio di alcuni sassi colpì il comandante delle guardie e un carabiniere.

La risposta fu immediata e inattesa.

Centinaia di colpi di arma da fuoco furono indirizzati verso la folla che nel frattempo aveva ingrossato le file della protesta arrivando a sfiorare le cinquecento unità.

Fu una carneficina!

Si contarono 5 morti e decine di feriti.

Dopo qualche mese il sindaco Pelagio Rossi, travolto dalle critiche, fu costretto alle dimissioni.

La strage dei contadini di Torre Annunziata ebbe grande eco sulla stampa nazionale e nel Parlamento furono aperte numerose inchieste volte a determinare la sconcertante reazione dei Carabinieri.

 

 

Emblematico il titolo de “Il Mattino” del 1° settembre 1903:

“Le ambizioni dei socialisti di Torre Annunziata avevano bisogno di un tributo di vittime umane.”

Nonostante il tragico epilogo, Torre Annunziata fu additata ad esempio per la caparbietà e l’unità dei suoi lavoratori, pronti ad ergersi a martiri per la conquista dei diritti e della dignità della classe operaia.

 

 


                 

 

 

domenica 29 agosto 2021

PASQUALE VITIELLO- L'artista libero coi suoi pensieri.

 

        


                        


                                                Pasquale Vitiello (1912-1962)

                                                          Pittore, scultore, docente, poeta

                                                 «Desidero essere libero con i miei pensieri»

 

Pasquale Vitiello nasce a Torre Annunziata il 31 Agosto 1912; il padre Giusppe è contabile e la madre Letizia Fusco proviene da una buona famiglia di Castellammare di Stabia. A undici anni abbandona la scuola a metà anno scolastico perchè vuole soltanto dipingere, - fui la disperazione della mia famiglia -, annoterà poi nei suoi appunti.

Il 1926 è un anno di incontri, di tentativi e di scelte importanti. Si presenta al decoratore Gennaro Palumbo che sta affrescando la chiesa di San Francesco di Paola a Torre Annunziata e gli mostra la copia, da lui eseguita, di un antico quadro di famiglia raffigurante La Pentecoste, realizzata - secondo quanto racconta il figlio Luca - usando come tela il lenzuolo del letto di sua madre. Con il permesso dei genitori si trasferisce a Napoli, ospite di zia Giovannina, sorella del padre, per poter seguire i lavori del maestro Palumbo, in una chiesa di Napoli. Questa città, che, nonostante le sue problematiche, rimane una metropoli ricca di cultura, offre al ragazzo mille opportunità di conoscere nuovi artisti, e approfondire le sue conoscenze pittoriche. «Inizia gli esercizi di decorazione geometrica con il cesellatore Eugenio Avolio e il pittore Troiano, ma non gli bastano: vuole dipingere; riprende gli studi al Liceo artistico con lo scultore Achille De Luca e il pittore Angelo Brando».

Quest’ultimo lo inizia al linguaggio post-impressionista. Dopo il servizio militare, a Ventimiglia, nel 1932-33, grazie a una Borsa Ministeriale di Studio segue i corsi di Decorazione dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, sotto la guida di Emilio Notte che lo aiuta a superare ogni visione accademica, a rompere ogni vincolo, anche estetico, che il regime vuole imporre, e dipingere in piena libertà, e da lui apprende la scomposizione per piani derivata da Cèzanne. “Combatto la mia lotta davanti al cavalletto con superfici bianche d’appoggio per disegnarvi forme e stendervi colori secondo una mia poetica”. In questo periodo è intensa la sua partecipazione a concorsi e mostre, riscuotendo prestigiosi riconoscimenti.

Nel 1939 sposa Giuseppina Cuccurullo, figlia del veterinario di Torre Annunziata, da cui ha quattro figli, Carmela, Giuseppe, Letizia e Luca. Negli anni ’40 riprende l’insegnamento e la partecipazione alle mostre locali, nazionali e internazionali: Castellammare di Stabia, Torre Annunziata (Lido Azzurro), Città del Vaticano, San Paolo del Brasile, Napoli, Venezia.

Nella città lagunare, nel 1950, è presente al concorso per il Manifesto della Biennale di Venezia con la singolare opera La prua. In questa occasione conosce un altro torrese illustre, Michele Prisco, che riceve il Premio Venezia 1950 opera inedita conferitogli per Gli eredi del vento. Grande è la gioia di questi due figli di Torre, quando si incontrano al Lido di Venezia, e l’orgoglio è immenso: con il loro operato danno lustro e decoro alla città. Lo scrittore esprime parole di elogio per la pittura di Pasquale: «Ripercorrendo cronologicamente il suo lavoro si avverte come un sotterraneo ma decisivo cammino verso la luce: quasi un liberarsi di certi indugi chiaroscurali per meglio attingere una più ineffabile luminosità, l’affrancamento, in altre parole, da qualsiasi legame tradizionale per una più intima e vibrante atmosfera romantica libera da ogni peso estraneo al colore: approdo a quella peinture pure che con Cézanne e da Cézanne in poi è stato l’obiettivo primario di ogni vero artista». Il riconoscimento unanime è quello di una pittura «svincolata dai tradizionalismi e aperta alle soluzioni dell’arte all’avanguardia».

Nel 1951 l’artista prende in affitto un piccolo studio a Villa Filangieri, situato sulla costa di Torre Annunziata, alla punta Oncino, immerso nella vegetazione del paesaggio mediterraneo, che segna una svolta felice nella sua vita e nelle abitudini della famiglia. Qui il pittore si isola, e Villa Filangieri si trasforma in un rifugio, e Rifugio è il titolo di un suo quadro esposto alla Biennale di Venezia. Molte opere prodotte in questa oasi di tranquillità somigliano alle pagine di un diario, perché custodiscono tanti stati d’animo:  oltre alla firma Vitiello vi segna le iniziali della Villa «V.F.».

Il 1956 è un anno drammatico per il pittore per un delicato intervento chirurgico, ma la sua attività non subisce rallentamenti. Tornato a casa, dipinge un quadro di grandi dimensioni, Le larve, che sviluppa disegni eseguiti in clinica, Serie dell’incubo, che rivelano le ansie dell’autore per una vita che volge al tramonto. Nella produzione di questo periodo il colore assume autonomia e scompone i volumi con la luce senza perdere compattezza e unità. Tra il 1959 e il 1962 l’artista partecipa a molte importanti rassegne nazionali e vince numerosi premi nazionali; i suoi dipinti entrano a far parte di collezioni private e pubbliche: alcune opere sono esposte anche alla Camera dei Deputati.

Nell’estate del 1960 deve abbandonare il rifugio a Villa Filangieri: la tenuta viene lasciata alla Chiesa, che abbatte il verde per far posto a costruzioni in cemento per i religiosi. Il pittore trasferisce lo studio a Villa Vegnente, non lontano dalla Villa delle Ginestre, dimora di Giacomo Leopardi.

Sempre nel 1960 l’Amministrazione Comunale di Torre Annunziata affida al Maestro l’incarico di realizzare i bozzetti per due aquile destinate al monumento ai Caduti di Torre Annunziata della prima guerra mondiale, (opera straordinaria progettata dell’artista Francesco Jerace), le quali, tuttavia, non possono essere riconosciute in quelle che oggi spiegano le ali per accogliere sotto la loro protezione i caduti per la Patria, perché i bozzetti di Vitiello non sono stati mai tradotti a causa della prematura scomparta dell’autore. Tra il 1961 e il 1962 realizza una serie di disegni a penna, inchiostro e pastello, e ad acquerelli e tempere sul tema ricorrente della Città solitaria, dove i luoghi sono gremiti di memorie e attendono i loro figli per ritornare a vivere. Il 20 maggio del 1962 viene colpito da un infarto, e, nonostante le raccomandazioni del medico, continua a produrre. La frenesia di dar vita ai suoi stati d’animo su una bianca tela è forte, anche perchè sente che il suo percorso artistico sta per concludersi. Il 20 novembre del 1962 un secondo infarto pone fine alla sua vita.

I critici concordano nell’affermare che nell’ultimo periodo il pittore ha raggiunto la sua maturazione artistica attraverso lo schiarimento progressivo della tavolozza, distinguendosi da tutti gli artisti napoletani della sua generazione. I figli del maestro Pasquale Vitiello, per onorare la memoria del loro padre, hanno effettuato diverse donazioni.

* Scheda preparata per la I° Mostra dei "22 Figli Illustri di Torre Annunziata", presentata nel 2018 al Comune di Torre Annunziata, a cura di Lucia Muoio, Vincenzo Marasco e Antonio Papa.     

Mimi' Busiello- Il Capitano astuto

 




“Boniperti mi voleva a tutti i costi nella Juventus di Sivori e Charles. Ero giovane, mi avrebbero garantito vitto, alloggio, scuola ed eventuali premi partita. Quasi non ci credevo quando mi fecero questa proposta. Mio padre, autoritario e severo, non la prese proprio in considerazione e mi portò a Torre Annunziata per 150 mila lire e 80 chili di pasta.”

Questo è il ricordo di Domenico Busiello, nato il 2 gennaio 1944 a Pian di Meleto, in provincia di Pesaro, sul suo trasferimento al Savoia di Lello Pagano allenato da quel grande campione di Ercolino Castaldo ritornato a casa.

Domenico aveva solo 17 anni in quel 1 ottobre 1961 quando fece il suo esordio con la maglia bianca.

Dopo due anni di Prima Categoria, l’approdo in serie D quel 6 luglio 1964.

L’anno successivo ancora un campionato straordinario con la promozione in serie C con la società passata in mano a Giuseppe Russo ma non ci sarà.

Ritornerà a Torre nel 1968 giusto in tempo per godere del trionfo dell’anno successivo e la conquista della serie C.

Un susseguirsi di annate sempre ad alto livello impreziositi da quella fascia da capitano che portava con onore.   

Ancora un arrivederci è poi l’ultimo, clamoroso ritorno, coinciso con la meravigliosa vittoria nel campionato 1974/5 ai danni della Scafatese che ci proiettò in serie D oltre a vincere la Coppa campana a Napoli contro la Grumese.

Fu l’ultimo atto d’amore di Domenico Busiello verso la propria squadra e i tifosi entusiasti del gioco astuto, lineare e combattivo del valido centrocampista savoiardo dopo 197 partite giocate e 30 reti..

D’altronde, per tutti, era Mimì Busiello, “à vulpecella”.  


sabato 28 agosto 2021

Il giorno delle bombe- 29 agosto 1943




E' una mattinata d'inferno. 

Tra le 11 e le 15,30 centinaia di bombe vengono sganciate dagli aerei americani su Torre Annunziata.

Dalle schede di volo dell'aviazione statunitense risulta che quella giornata era stata predisposta per il "bombardamento ai principali obiettivi strategici di Torre Annunziata."

Oltre i punti strategici, come lo scalo ferroviario, l'ILVA, la centrale elettrica, le officine Ricciardi situate in via Castriota, la Fabbrica d'Armi e tanti pastifici, bombe caddero anche sui palazzi della città uccidendo decine di innocenti e intere famiglie.

Colpiti tra gli altri il pastificio Voiello con due morti, altre distruzioni per villa Vitiello e la cappella di Sant'Aniello.

Distrutta la nuova Chiesa della Trinità che stava costruendo Mons. Farro e lo stesso, assieme a tutti gli operai che vi lavoravano, rischiarono la morte.

A colpire la città furono ben 51 fortezze volanti, i temibili B-26 dell'aviazione americana.

Il numero esatto delle vittime di questa incursione aerea alleata rimasta nella memoria come "29 agosto 1943, il giorno delle bombe" non venne mai accertato, ma tra quelli certi e quelli che furono recuperati successivamente nei palazzi crollati, in particolare su Corso Umberto, se ne contarono almeno una settantina.

Queste povere persone che persero la vita in modo così tragico  vennero catalogati dagli alleati come "vittime collaterali".

martedì 24 agosto 2021

Una Diva a Torre Annunziata- Adelina Magnetti

 

Adelina Magnetti e sua figlia Claretta

La sera del 24 agosto 1913 Adelina Magnetti ritornò a recitare a Torre Annunziata, dove era già stata accolta calorosamente in precedenza, e in quella occasione tenne anche un corso di recite.

Non solo, in quella occasione l’artista che aveva già riscosso trionfi e successi in tutti i teatri italiani e in attesa di intraprendere una tournée per l’America, presentò al pubblico torrese le migliori scene tratte dai numerosi testi del celeberrimo teatro d’arte napoletano.

"Assunta Spina" e "O voto" del Di Giacomo, "Signorine" e "Addio, mia bella Napoli" di Ernesto Murolo, "O Giovannino o la morte" di Matilde Serao ed Ernesto Murolo, "Gente Nosta" di Libero Bovio ed Ernesto Murolo, "Malia" di Luigi Capuana adattata da Libero Bovio sono tante gemme della preziosa collana di lavori che Adelina volle regalare al pubblico di Torre Annunziata. 

Tra gli artisti che si distinsero in quella magnifica serata, da ricordare su tutti il grande Gennaro Pantalena.  

Da menzionare i giovani del “Circolo Giovanile di Cultura Ugo Foscolo” di Torre Annunziata che vollero attestare la stima e l’ammirazione per la squisita arte di Adelina con una magnifica composizione floreale.

Ma chi era Adelina Magnetti?

Adelina nacque a Napoli il 3 gennaio 1880.

Con l’esordio sulle scene a soli 18 anni iniziò il suo viaggio nel mondo del teatro importante a fianco di Eduardo Scarpetta in “Nina Bonè” intermezzando ruoli da “ingenua” a quelli densi di passionalità.

Il successo arrivò poco dopo tempo, nel 1901, quando al “Fiorentini” di Napoli, si fece conoscere come brava interprete in “A Nanassa”.

Ingaggiata dalla Compagnia Molinari in scena al Teatro Nuovo di Napoli, Adelina divenne attrice completa interpretando tutti i ruoli femminili tipici del repertorio teatrale napoletano.

Grande e clamoroso, nel 1909, il successo nell’interpretazione di “Assunta Spina” del grande Salvatore Di Giacomo.

Furono anni di grandi trionfi anche grazie alle scritture di Ernesto Murolo, Libero Bovio, Luigi Capuana, Salvatore Di Giacomo, i cui testi sembravano essere stati preparati apposta per esaltare la sua bravura.

Nel 1912 si trasferì nella Compagnia di Gennaro Pantalena volendo provare il successo nella commedia comica, ma i risultati, specialmente quelli economici, non furono entusiasmanti.

La bravura di Adelina non venne messa in discussione, né dal pubblico né dalla critica che, anzi, accostò la personalità e la professionalità di Adelina a quella di Eleonora Duse.

Recitò ancora per pochi anni e nel 1923 si ritirò dalle scene.

Rimase a vivere a Napoli fino al 1946 per trasferirsi nella Casa di Riposo per Artisti “Lyda Borelli, a Bologna, dove si spense il 17 luglio 1963.

Don Luigi Bellomo, il cuore del tifo torrese.

*Un tributo a Luigi Bellomo:  il cuore del tifo torrese* Torre Annunziata perse uno dei suoi pilastri sportivi e cittadini con la scomparsa ...