martedì 28 novembre 2017

QUEL GIORNO CHE CACCIARONO I CAPI!!!


NOVEMBRE 1971

                                                                   DERIVER-
                                    Quel giorno che cacciarono i capi!!!

Quel 1971 aveva già provocato diverse preoccupazione per l’impennata della criminalità e per i primi, consecutivi, atti di cronaca che si perpetrarono all’interno del territorio torrese, con frequenza quasi giornaliera.

L’opinione pubblica venne sconvolta nel mese di giugno per l’incredibile vicenda dei fidanzatini quindicenni che scelsero di suicidarsi sotto il treno dopo essersi visti ostacolare dalle famiglie nella loro storia d’amore.

Ricordai la loro storia qualche mese fa, all’interno del blog.  (https://tuttotorre.blogspot.it/2017/06/lassurda-tragedia-damore-del-giugno.html)

Solo il destino volle che la giovane ragazza rimanesse in vita.

Il ragazzo, Raffaele Autiero, non riuscì ad evitare l’atroce morte.

E ancora, quattro feriti per una sparatoria tra i clan emergenti all’interno del bar Felli, anteprima di episodi di quelle che sarebbero diventate azioni di ordinaria follia nelle nostre strade.

Le industrie operanti sul territorio erano ancora abbastanza attive, anche se non tardarono ad arrivare i primi segnali di quella che sarebbe divenuta la disfatta totale dell’azione politica/industriale faticosamente instaurata nel nostro territorio già dalla fine degli anni Cinquanta.

La Deriver, in poco tempo divenne una delle fabbriche in cui vennero occupati più lavoratori rispetto alle altre della zona.

Era specializzata nella produzione di funi di acciaio, filo zincato, chiodi, fili lucidi e cotti per qualsiasi impiego e tutte le altre attività inerente la lavorazione dell’acciaio. 

La Deriver, con le sue centinaia di operai, fu una delle prime ad avvertire, e di conseguenza, vivere sulla propria pelle, lo stato di malessere che riguardava il trattamento economico e previdenziale differente tra operai della stessa categoria operanti in regioni diverse.

Nello specifico, rapportando e confrontando le spettanze tra i lavoratori torresi e quelli lombardi, era evidente una grave forma di discriminazione nei confronti dei lavoratori torresi.

Ormai i motivi dello scontro erano chiari ed acclamati.

Lo stato di agitazione era stato proclamato da diverse settimane.

Il sindaco Luigi Matrone, comunista, aveva già fiutato l’aria pesante e si era precipitato già due volte in quelle settimane all’esterno dei cancelli per parlare agli operai e ai responsabili delle organizzazioni sindacali.

Nel frattempo, erano trascorsi diversi giorni da quando il sindacato operante all’interno della Deriver di Torre Annunziata aveva deciso di scioperare contro la proprietà.

Non erano ancora bastate diverse giornate di lotta per convincere la proprietà lombarda a concedere l’adeguamento e la parità di trattamento degli operai torresi a quelli delle altre aziende del gruppo Finsider, di cui la stessa Deriver faceva parte.

In questa occasione, oltre agli operai, aderirono all’agitazione anche un folto gruppo di impiegati.

La classe lavoratrice aveva bisogno di tutte le sue componenti attive per creare le condizioni affinché le istanze da loro presentate fossero prese in seria considerazione e valutate attentamente dalla controparte.

Quella fredda mattina del mese di novembre, in tanti erano arrivati al limite della sopportazione.

I cancelli erano rimasti chiusi, ancora una volta la massa aveva bloccato l’azione di ripristino lavoro, richiesta timidamente, ogni giorno, dai dirigenti di fabbrica.

Ormai erano diversi giorni che la situazione era bloccata, non si erano aperti spiragli di trattativa né dall’una né dall’altra parte.

L’agitazione era iniziata nei primi giorni del mese di ottobre.

Ormai, era muro contro muro.

Quel 18 novembre, verso le dieci, dopo che il capo del personale, avvocato Pasquale Nonno, prese possesso della sua “scomoda” poltrona in cerca di soluzioni per sbloccare l’intrigata matassa, qualcosa di grave e clamoroso appesantì ancora di più il clima, già difficile e problematico, tra le rispettivi parti in causa.

L’incontro fissato nella sala direzionale con i rappresentanti degli operai, in massima parte iscritti alla FIOM CGIL, stava prendendo, purtroppo, anche quella mattina, una piega decisamente negativa.

Troppo distanze tra le richieste e le controproposte, la proprietà non aveva alcuna intenzione di fare concessione agli operai dell’azienda meridionale, secondo loro la differenza di trattamento aveva ragione di esistere e doveva rimanere tale.

Successe tutto in pochi minuti, la clamorosa azione dei rappresentanti fu concertata e decisa in quelle prime ore del mattino, esasperati dalle continue risposte negative del Nonno.

Numerose persone tra impiegati e operai, dopo essere entrati nella sala dell’ufficio, chiesero al Nonno di lasciare la sede, e al suo diniego, lo costrinsero con la forza ad uscire dallo stabilimento.

Dopo il suo allontanamento, anzi, la sua estromissione, anche tutti gli altri dirigenti si allontanarono dai propri uffici, compreso il direttore generale.

Gli operai avevano cacciato i “padroni “dalla loro fabbrica!!!

Grande eco in tutta la nazione e su tutta la stampa nazionale per questo episodio che riportò la città di Torre Annunziata alla ribalta della cronaca.




I sindacati vennero accusati di fomentare la rabbia degli operai con l’infiltrazione di delinquenti comuni non controllabili dai propri vertici.
La preoccupazione istituzionale venne espressa dal ministro degli interni Flaminio Piccoli, allora anche responsabile politico delle partecipazioni statali, che con un comunicato molto duro sull’azione degli operai di Torre Annunziata, li accusò di attentare ai principi di libertà e dignità del lavoro, mettendo a serio rischio tutto l’apparato produttivo del paese in un momento molto delicato dell’economia.
Ma l’azione degli scioperanti non si ridusse, anzi continuò ancora per 120 giorni!
Ci vollero cinque mesi per le parti per trovare un accordo.
L’annuncio venne dato nel mese di marzo del 1972,  gli operai ottennero quanto richiesto.



Oltre ai vantaggi economici derivanti dai nuovi livelli retributivi, la parte normativa dell'accordo assumeva un valore rilevante perché in essa erano stabilite condizioni eque per le prospettive caratteristiche e la formazione professionale del dipendente.
Insomma, quella volta la lotta portò dei risultati positivi per i lavoratori, anche se raggiunti a carissimo prezzo, dopo cinque mesi di sciopero e  con la rabbia per l’immagine di violenza che si volle dare all’intero movimento sindacale e lavorativo in seguito alla clamorosa cacciata dei padroni dall’azienda di Via Terragneta in quel novembre del 1971.


martedì 7 novembre 2017

MICHELE LANESE- LA STORIA DEL "PASOLINI " TORRESE, A 36 ANNI DALLA TRAGICA MORTE.



Aveva solo 33 quando decise di premere il grilletto di quella maledetta pistola e mettere fine alla sua esistenza.
Michele Lanese  era nato nel 1953.
Scelse di morire cosi, in modo solitario ma eclatante, dopo essersi recato nel garage dei genitori, in via Gino Alfani 15, dove viveva assieme a loro ed a una sorella.
Non era rientrato a casa quella notte.
Aveva deciso di dire addio alla vita in quel modo tragico.
Il padre lo ritrovò la mattina successiva, dopo una notte di ricerche. 
Il padre, Raffaele, era infermiere e lavorava presso la Farmacia del dottor Lavarone al Corso Umberto e nel tempo libero si recava a casa di pazienti che lo chiamavano per avere la sua assistenza sanitaria.
La madre era Michelina Mascolo.
Ma chi era Michele Lanese?
Ai giovani poco o nulla potrà dire il suo nome, anche perchè sulla sua vicenda è sempre caduto un velo di silenzio, di mistero, quasi come fosse stato un fastidio parlarne.
Non ho avuto mai occasione di conoscerlo, i dieci anni di differenza che ho con lui sono un'eternità nella storia di Torre Annunziata.
Quelli come lui, nativi  tra il Cinquanta e il Sessanta hanno lottato, con tutte le loro forze e con ogni mezzo, per ottenere dignità e lavoro in una società intenta a salvaguardare e dividersi poltrone e potere, in combutta con la camorra.
Erano gli anni in cui migliaia di disoccupati si erano riuniti in movimenti organizzati, alla disperata ricerca di una occasione di riscatto.

Gli altri, politici e truffaldini, si erano riuniti in associazioni a delinquere.
Molti di loro erano contrabbandieri di sigarette, "mestiere" ormai praticamente sul viale del tramonto a causa dei nuovi traffici, armi e droga,  che andarono ad aumentare il fatturato dei clan della zona. 
Tanti cercarono di fermarsi prima dell'irreparabile, aggrappandosi a quell'ancora di salvezza, rappresentata dal posto di lavoro ottenuto tramite lotta.
Furono premiati.
Arrivò la legge 285, firmata da Tina Anselmi, per spezzare quel record negativo di disoccupazione giovanile e inserire nel meccanismo lavorativo migliaia di giovani, togliendoli dalle strade in cui già scorreva sangue di morti ammazzati.
Torre Annunziata venne molto avvantaggiata da questa situazione.
Michele, già allora, poco piu' che ventenne, era uno dei capi del movimento.
Iniziò a lavorare, assunto come impiegato dell'assessorato alla cultura.


Il suo impegno, politico e sindacale, continuava ad essere continuo ed incessante, nonostante il nuovo lavoro.
Proprio in quel periodo ottenne una carica molto prestigiosa, diventando segretario della Cgil di Torre Annunziata.
Negli anni Ottanta a Torre Annunziata, piu' di altre zone limitrofe, imperversavano droga ed eroina  in quantità enorme.
Erano tanti, troppi, i giovani eroinomani e tossicodipendenti entrati e mai piu' usciti da quel tunnel mortale.
Michele scelse di lottare con loro, era a fianco di questa gente, si sentiva parte di loro.
Ma era una lotta impari, troppo potere e soldi sporchi circolavano nel nostro territorio.
Iniziarono anche le guerre di clan.
La piu' clamorosa, agosto 1984, la strage di Sant'Alessandro.
Otto morti e una quindicina di feriti, la mattanza tra le strade cittadine, Torre Annunziata sulle prime pagine e sui servizi giornalistici di tutto il mondo.
Per diversi giorni, mesi.

Forse ancora oggi qualcuno si ricorda di noi per quella giornata.
Assemblee e dibattiti per interrogarsi sul perchè di quella strage, si susseguirono nel paese.
Durante una di queste assemblee, Michele chiese di parlare.
E parlò.
Denunciò le ingerenze della criminalità in seno all'apparato politico cittadino, le infiltrazioni camorristiche ormai arrivate ad inquinare la giunta comunale.
Qualche giorno dopo, queste gravissime accuse vennero ripetute in una intervista al Tg1.
Michele scoperchiò il vaso di Pandora, diventando per l'opinione pubblica "il sindacalista d'assalto".
Trascorse un anno in trincea, lottando anche contro le prime minacce camorristiche che gli arrivarono direttamente in prima persona.
Poi, l'anno dopo, un'altra tragedia.
Arrivò l'omicidio di Giancarlo Siani, settembre 1985.
La morte dell'amico giornalista rese Michele ancora piu' agguerrito nei confronti della politica locale.
In una infuocata conferenza stampa, Michele Lanese chiese l'arrivo della Commissione Antimafia per valutare l'operato della giunta, innescando una fortissima polemica con il sindaco Beniamino Verdezza, reo, secondo Michele , di non aver mai parlato di "omicidio di camorra".
Verdezza si difese, rispose che non poteva generalizzare e buttare fango sull'intera comunità.
Forse, da lì in poi, per Michele iniziò una pausa di riflessione, dovuto anche ad un precario stato di salute.
In un servizio giornalistico del Tg1, a seguito dell'omicidio Siani, questa volta scappò davanti alla telecamera, accusando:
"Ve lo avevo detto che sarebbe finita così!"
Si rifugiò  nei suoi versi, espressi in poesie, che faceva leggere ai suoi vecchi amici.
Tra queste poesie, una dal titolo:" Me ne andrò in autunno".
Un segnale di cupa premonizione.
Era la poesia che venne stampata sui manifesti che fiancheggiarono quelli della sua morte, da quel 7 novembre 1986
. 
Per ricordare la storia di Michele.
Forse era il saluto che voleva fare alla sua amata/odiata città.
Da allora, su Michele Lanese scese l'oblio.
Era un personaggio "scomodo", raramente ho letto qualche articolo sulla sua figura e sulle sue lotte.
Solo in pochi, nel corso di questi decenni, hanno avuto un ricordo, un pensiero, una frase per ricordare la sua esistenza.
Michele avrebbe meritato maggiore e migliore considerazione.
Spesso, nella nostra città, queste persone sono le piu' vere, sincere e sensibili e solo grazie al loro impegno, nel civile e nel sociale, si sono raggiunti risultati che hanno cambiato il destino di una intera generazione.


Michele era una di queste persone. 

R.I.P. Michele Lanese.

mercoledì 1 novembre 2017

1 NOVEMBRE 1962 - NEL GIORNO DI "TUTTI I SANTI" , LA TRAGEDIA EVITATA...



Corriere della sera- 2 Novembre 1962


Era giorno di festa.
Quell'anno, il 1962, la festa di "Ognissanti" cadeva di giovedi.
Un Primo Novembre abbastanza movimentato.
D'altra parte, come ben sappiamo, la zona che porta da Piazza Croce a via De Simone, "a sces da Nunziata", è sempre stata caratterizzata da un gran numero di attività in massima parte legate alla vendita di alimentari di tutti i generi.
Erano decine, in maggior parte ambulanti, che aspiravano e lottavano per piazzare la loro merce in quei due metri di spazio pro capite, e andavano a contrattare con chi di dovere per ottenere l'autorizzazione.
Sapevano che quel luogo era l'unico modo per essere sicuri di vendere la loro merce.
Quel posto, quella zona in particolare, era garanzia di successo, dai frutti di mare al pesce, dal pane alle fragole, dal gelato ai fichi d'india, dalle noci alle angurie.
Tutto si vendeva.
Tutto.
Non era solo un giorno di festa, per qualcuno no.

C'era un funerale in programma, era previsto nel pomeriggio, dopo la messa svoltasi in chiesa.
Erano passate da poco le sedici, come al solito il percorso del corteo funebre prevedeva l'arrivo in via Garibaldi, "o vico e San Gennaro", e da lì il proseguimento per via Sepolcri, sede del cimitero cittadino.
Arrivati  all'imbocco con l'importantissima via Garibaldi si era creato un certo movimento e frastuono.
La giornata di festività aveva portato diverse auto e gruppi di persone  nella zona.
Erano i tempi in cui le auto erano ancora un lusso ma, inevitabilmente, l'acquisto  della prima macchina stava diventando un sogno realizzabile per tante famiglie.
Destinati al declino, coloro che erano proprietari di calesse trasportato da cavallo, anche se dobbiamo dire che a Torre Annunziata riuscirono a continuare il loro lavoro fino agli inizi degli anni ottanta, per poi definitivamente sparire.
Un'altra delle tradizioni torrese che ha dovuto lasciare il campo al progresso dei mezzi stradali.
Proprio in Piazza Croce era posizionato il calesse di Giuseppe Mirto, sessantanovenne, intento a parlottare con altri suoi compagni di lavoro, in attesa che qualche gruppo  di persone terminasse il giro alla ricerca di mercanzie  e si decidesse a fare rientro a casa.
Evidentemente, oltre al tranbusto dei mezzi, in quel momento si aggiunse anche la confusione creatasi per l'arrivo del funerale, e accadde che il cavallo del Mirto riuscì a sganciarsi dalle briglie, galoppando verso via Garibalbi, proprio mentre in quel momento  entrava il corteo funebre.
Possiamo facilmente immaginare le scene di panico che avvennero in quegli attimi.

Chissà quante persone avranno sognato la notte quel cavallo imbizzarrito che, in preda al panico, tutto calpesta e travolge, spargendo sangue e feriti dappertutto.
Un maresciallo dei carabinieri, Eugenio Ludovico, comandante la stazione di Scafati, stava seguendo il feretro e, appena si vide passare il cavallo di fianco non perse tempo e si mise ad inseguirlo per quattro cinque metri afferrandolo al collo con un balzo prodigioso ma, nella ricaduta, venne travolto e calpestato, riportando la frattura della gamba sinistra.
Il cavallo, dopo questo primo tentativo di fermo, ripartì ancora  piu' impaurito, travolgendo nella sua folle corsa ancora una decina di persone.
La fine della tragica corsa avvenne a metà della via, quando altri coraggiosi riuscirono ad afferrarlo e a tranquillizzarlo.
Rimasero seriamente feriti a terra altre  quattro persone, i fratelli Sergio e Gabriele Arpaia, Ubaldo Laudano e Michelangelo Vitiello, tutti guaribili in una decina di giorni.
Insomma, una giornata da dimenticare anche se alla fine non ci scappò il morto.
Non successe solo per una questione di fortuna...


Cartolina del 1920- Già 40 anni prima la piazza era animata...

Il ricordo di Mons. Raffaele Russo.

Il Monsignor Raffaele Russo, Rettore della Basilica della Madonna della Neve di Torre Annunziata, ci ha lasciato. Ultima tappa del suo perco...