NOVEMBRE 1971
DERIVER-
Quel giorno che cacciarono i capi!!!
Quel 1971 aveva già provocato diverse preoccupazione per
l’impennata della criminalità e per i primi, consecutivi, atti di cronaca che
si perpetrarono all’interno del territorio torrese, con frequenza quasi
giornaliera.
L’opinione pubblica venne sconvolta nel mese di giugno per
l’incredibile vicenda dei fidanzatini quindicenni che scelsero di suicidarsi
sotto il treno dopo essersi visti ostacolare dalle famiglie nella loro storia
d’amore.
Ricordai la loro storia qualche mese fa, all’interno del
blog. (https://tuttotorre.blogspot.it/2017/06/lassurda-tragedia-damore-del-giugno.html)
Solo il destino volle che la giovane ragazza rimanesse in
vita.
Il ragazzo, Raffaele Autiero, non riuscì ad evitare l’atroce
morte.
E ancora, quattro feriti per una sparatoria tra i clan
emergenti all’interno del bar Felli, anteprima di episodi di quelle che
sarebbero diventate azioni di ordinaria follia nelle nostre strade.
Le industrie operanti sul territorio erano
ancora abbastanza attive, anche se non tardarono ad arrivare i primi segnali di
quella che sarebbe divenuta la disfatta totale dell’azione politica/industriale faticosamente instaurata nel nostro territorio già dalla fine degli anni Cinquanta.
La Deriver, in poco tempo divenne una delle fabbriche in cui
vennero occupati più lavoratori rispetto alle altre della zona.
Era specializzata nella produzione di funi di acciaio, filo
zincato, chiodi, fili lucidi e cotti per qualsiasi impiego e tutte le altre
attività inerente la lavorazione dell’acciaio.
La Deriver, con le sue centinaia di operai, fu una delle
prime ad avvertire, e di conseguenza, vivere sulla propria pelle, lo stato di
malessere che riguardava il trattamento economico e previdenziale differente
tra operai della stessa categoria operanti in regioni diverse.
Nello specifico, rapportando e confrontando le spettanze tra
i lavoratori torresi e quelli lombardi, era evidente una grave forma di discriminazione
nei confronti dei lavoratori torresi.
Ormai i motivi dello scontro erano chiari ed acclamati.
Lo stato di agitazione era stato proclamato da diverse
settimane.
Il sindaco Luigi Matrone, comunista, aveva già fiutato
l’aria pesante e si era precipitato già due volte in quelle settimane
all’esterno dei cancelli per parlare agli operai e ai responsabili delle
organizzazioni sindacali.
Nel frattempo, erano trascorsi diversi giorni da quando il
sindacato operante all’interno della Deriver di Torre Annunziata aveva deciso
di scioperare contro la proprietà.
Non erano ancora bastate diverse giornate di lotta per
convincere la proprietà lombarda a concedere l’adeguamento e la parità di
trattamento degli operai torresi a quelli delle altre aziende del gruppo
Finsider, di cui la stessa Deriver faceva parte.
In questa occasione, oltre agli operai, aderirono
all’agitazione anche un folto gruppo di impiegati.
La classe lavoratrice aveva bisogno di tutte le sue
componenti attive per creare le condizioni affinché le istanze da loro presentate
fossero prese in seria considerazione e valutate attentamente dalla
controparte.
Quella fredda mattina del mese di novembre, in tanti erano
arrivati al limite della sopportazione.
I cancelli erano rimasti chiusi, ancora una volta la massa
aveva bloccato l’azione di ripristino lavoro, richiesta timidamente, ogni
giorno, dai dirigenti di fabbrica.
Ormai erano diversi giorni che la situazione era bloccata,
non si erano aperti spiragli di trattativa né dall’una né dall’altra parte.
L’agitazione era iniziata nei primi giorni del mese di
ottobre.
Ormai, era muro contro muro.
Quel 18 novembre, verso le dieci, dopo che il capo del
personale, avvocato Pasquale Nonno, prese possesso della sua “scomoda” poltrona
in cerca di soluzioni per sbloccare l’intrigata matassa, qualcosa di grave e
clamoroso appesantì ancora di più il clima, già difficile e problematico, tra
le rispettivi parti in causa.
L’incontro fissato nella sala direzionale con i
rappresentanti degli operai, in massima parte iscritti alla FIOM CGIL, stava prendendo,
purtroppo, anche quella mattina, una piega decisamente negativa.
Troppo distanze tra le richieste e le controproposte, la
proprietà non aveva alcuna intenzione di fare concessione agli operai
dell’azienda meridionale, secondo loro la differenza di trattamento aveva
ragione di esistere e doveva rimanere tale.
Successe tutto in pochi minuti, la clamorosa azione dei rappresentanti
fu concertata e decisa in quelle prime ore del mattino, esasperati dalle
continue risposte negative del Nonno.
Numerose persone tra impiegati e operai, dopo essere entrati
nella sala dell’ufficio, chiesero al Nonno di lasciare la sede, e al suo
diniego, lo costrinsero con la forza ad uscire dallo stabilimento.
Dopo il suo allontanamento, anzi, la sua estromissione,
anche tutti gli altri dirigenti si allontanarono dai propri uffici, compreso il
direttore generale.
Gli operai avevano cacciato i “padroni “dalla loro
fabbrica!!!
Grande eco in tutta la nazione e su tutta la stampa
nazionale per questo episodio che riportò la città di Torre Annunziata alla
ribalta della cronaca.
I sindacati vennero accusati di fomentare la rabbia degli
operai con l’infiltrazione di delinquenti comuni non controllabili dai propri
vertici.
La preoccupazione istituzionale venne espressa dal ministro
degli interni Flaminio Piccoli, allora anche responsabile politico delle
partecipazioni statali, che con un comunicato molto duro sull’azione degli
operai di Torre Annunziata, li accusò di attentare ai principi di libertà e
dignità del lavoro, mettendo a serio rischio tutto l’apparato produttivo del
paese in un momento molto delicato dell’economia.
Ma l’azione degli scioperanti non si ridusse, anzi continuò
ancora per 120 giorni!
Ci vollero cinque mesi per le parti per trovare un accordo.
L’annuncio venne dato nel mese di marzo del 1972, gli
operai ottennero quanto richiesto.
Oltre ai vantaggi economici derivanti dai nuovi livelli
retributivi, la parte normativa dell'accordo assumeva un valore rilevante
perché in essa erano stabilite condizioni eque per le prospettive
caratteristiche e la formazione professionale del dipendente.
Insomma, quella volta la lotta portò dei risultati positivi
per i lavoratori, anche se raggiunti a carissimo prezzo, dopo cinque mesi di
sciopero e con la rabbia per l’immagine di violenza che
si volle dare all’intero movimento sindacale e lavorativo in seguito alla
clamorosa cacciata dei padroni dall’azienda di Via Terragneta in quel novembre
del 1971.
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