lunedì 11 dicembre 2017

IL GIORNO DELLA RIVINCITA!!!


1924: IL GIORNO DELLA RIVINCITA!







 


Il giorno del voto tanto atteso era arrivato!

Quella domenica in città il clima era pesante e la tensione si manifestava negli angoli delle strade, fuori dai pastifici, dalle fabbriche, ovunque.

Avevo visto, la settimana prima del voto, l’arrivo di una lunga fila di carabinieri a cavallo, che vennero attentamente disposti dal Commissario di P.S. Ferrante, in previsione del loro impiego nelle principali piazze di afflusso, al fine di evitare il rischio di contatto tra le opposte fazioni di contendenti.

Non riuscivo a capire e a contare quanti ne fossero, probabilmente un centinaio, forse il doppio.

Il grosso delle truppe a cavallo venne posizionato nell’area portuale, in attesa di disposizioni, onde spostarsi per arginare eventuali scontri.

Il risultato delle urne fu un autentico pugno nello stomaco per i vertici politici locali e per il Sindaco Pelagio Rossi che appena sette mesi prima aveva “rubato” la poltrona proprio ad Alfani.

Enorme il disappunto degli avversari fascisti, capitanati da quel Pelagio Rossi, vero terminale politico locale con i vertici del movimento creato da Mussolini, nuovo padrone d’Italia.

Non erano bastate le minacce e i tentativi di persuadere la massa ad evitare quel voto, a sinistra, specialmente perché il personaggio in questione, Gino Alfani, era stato appena destituito dalla carica di Sindaco di Torre Annunziata, assieme alla sua giunta, dalla prepotenza e sopraffazione dei seguaci delle camicie nere che cacciarono intere amministrazioni di sinistra, dal 1921 al 1923, elette democraticamente.

 E non erano bastate neanche le minacce, più o meno esplicite, rivolte agli esponenti di sinistra di “stare attenti” altrimenti “avrebbero fatto la fine di Bertone”, vigliaccamente assassinato a Torre Annunziata da tre fascisti nel 1921.

La lotta alle camicie nere non venne mai meno nella nostra città, anzi.

Quel 6 aprile del 1924 giunse l’occasione di un parziale riscatto.

Bastarono un paio di giorni affinché giungesse in città l’ufficialità della vittoria di Alfani con l’elezione alla Camera dei Deputati.

La rivincita dei “rossi” era compiuta!

Alfonso D’avino, il giorno del voto, si era recato a votare per dare il suo sostegno ad Alfani.

Al momento del riconoscimento, si accorse che era sprovvisto del documento che accertasse le sue generalità.

Lo aveva perso.

Senza quel documento non gli era permesso votare.

A meno che…

C’era un solo modo per poter votare e consisteva nella testimonianza di un conoscente che potesse garantire della sua identità.

In quella sede c’era un suo conoscente, Michele Palumbo, che certamente avrebbe garantito per lui.

Non fu cosi!

Michele Palumbo disse di non conoscerlo, per Alfonso non ci furono preghiere e suppliche che tennero.

Il Palumbo, notoriamente di simpatie fasciste, non permise ad Alfonso di esercitare il suo diritto al voto.

La scazzottata tra i due divenne inevitabile, nel parapiglia ci furono alcuni contusi che avevano tentato di dividere i due litiganti.

La storia tra i due sembrava dovesse finire così.

All’indomani dell’annuncio ufficiale della vittoria di Alfani, grandi masse di operai, in maggior parte aderenti al settore metallurgico, giravano per la città in segno di giubilo.

Uno di questi cortei di operai, più folto di altri, aveva attraversato il corso principale per poi discendere via Alfonso De Simone, “a scesa dà Nunziata”.

Erano i lavoratori della “Ferriera del Vesuvio”.



Con grande convinzione e portamento, camminavano compatti, alternando l’urlo per il compagno Alfani all’immancabile intonazione dell’inno di “Bandiera rossa”.



“Avanti o Avanti o popolo alla riscossa

Bandiera rossa, bandiera rossa

Avanti o popolo alla riscossa

Bandiera rossa trionferà



 Bandiera rossa la trionferà

 Bandiera rossa la trionferà

 Bandiera rossa la trionferà

 Evviva il comunismo e la libertà.”



Dalla mia postazione privilegiata, una panchina posizionata all’ingresso dell’area portuale di fianco allo stanzino della finanza, riuscivo a vedere quella meravigliosa massa di uomini che si muovevano tutt’uno nella loro fierezza, tra gruppi di personaggi ostili che si erano impadroniti della mia città con la violenza, e che certamente stavano pensando come arginare quella marea di “rossi” che sfidavano tutto e tutti.

Mio zio Gaetano Papa, quella mattina era stato allertato che ci sarebbe stato più movimento del solito nell’area del porto e lui, da capo delle Guardie di Finanza, aveva richiesto maggiore attenzione e sorveglianza ai suoi uomini per quell’area a forte rischio di incidenti.

D’altra parte, in quelle centinaia di metri quadri giravano migliaia di persone e gran parte dell’economia di Torre Annunziata.

In quei giorni di elezioni, da quell’area dipendeva anche la salvaguardia dell’ordine pubblico.

Come capitava spesso al mattino, ero passato a salutarlo, anche perché era bello, per me che ero appena giovinetto, vedere quel movimento di carabinieri, cavalli, navi, lavoratori, e il mare…

Abitavo proprio in zona, a cento metri dal porto.

Con attenzione e giudizio, Gaetano Papa iniziava a scrutare i movimenti e le intenzioni dei due gruppi rivali.

Aveva capito che qualcosa stava per succedere, d’altronde era inevitabile che una scintilla potesse scoppiare in quel miscuglio di fuochi d’artificio e polvere da sparo.

“Vieni via di lì, entra nella garitta e non muoverti” -  mi disse.

Lo vedevo preoccupato.

La massa operaia avanzando, aveva completato la discesa di via De Simone ed era arrivata nei pressi dei due archi che dividono la “Nunziata” dal porto.

Il coro di “Bandiera Rossa” saliva sempre più alto dalle voci e dal cuore degli operai.

Tra loro, nel lato sinistro del gruppo, c’era anche Alfonso D’avino.

Appena dentro l’area di accesso al porto, in compagnia stretta di due camerati, Michele Palumbo.

Ad ogni intonazione delle strofe dell’inno operaio, seguivano sonore e continue bordate di fischi da parte degli oppositori.

E proprio in quel momento di massima tensione che Alfonso si accorse della presenza del Palumbo.

Si avventò con un balzo deciso su di lui ed iniziarono di nuovo la scazzottatura.


Palumbo, preparato a quello scontro, schivò alcuni colpi e appena si allontanò di qualche metro, tirò fuori in un baleno una rivoltella dalla tasca del pantalone e non esitò a sparare diversi colpi verso Alfonso.

Il terrore assalì i presenti, consapevoli appieno dell’enorme pericolo cui stavano affrontando.

I colpi del Palumbo andarono a vuoto, mentre Alfonso, dopo aver estratto a sua volta la pistola che anch’egli aveva celato nei pantaloni, sparò tre colpi che andarono a segno nelle ginocchia dell’avversario.

Dopo averlo visto soccombere, Alfonso, pistola in pugno, ordinò a un portatore di carrozzella di allontanarsi per tentare la via di fuga.

Vidi questa scena terribile rinchiuso nel gabbiotto, adibito al controllo dell’operazioni di ispezioni della Finanza, di cui era responsabile mio zio.

Alfonso D’avino saltò sul calesse per tentare la fuga!

Cinque secondi.

Tanto bastarono a mio zio Gaetano affinché si affiancasse al calesse, pronto per la fuga, e tentasse di bloccare il fuggitivo.

Le urla, la folla, i colpi di pistola, il terrore.

Il cavallo ormai era incontrollabile, Alfonso non riusciva a domarne gli irrequieti movimenti, ormai erano in preda al panico cavallo e conducente.

Mio zio venne investito in piene dal cavallo e travolto da una ruota dell’ormai incontrollabile mezzo di trasporto.

Intervennero i soccorsi, anzi, i carabinieri.

La carica per disperdere le due fazioni diventò necessaria per raccogliere e portare nel luogo del ricovero dell’ospedale cittadino i due feriti gravi rimasti a terra.

Il Palumbo, per la gravità delle ferite venne trasportato a Napoli, al Pellegrini.

Entrambi i feriti si ripresero, non seppi però cose accadde al D’avino.

Rimasi per diversi minuti terrorizzato, chiuso nella piccola stazioncina.

Venni fuori solo dieci minuti dopo, quando accorse mio padre a riprendermi, subito allertato da alcuni amici sull’evolversi in modo negativo e violento della marcia operaia contrastata dai simpatizzanti fascisti.

Ritornando verso casa, ricordo che rimasi in trance per tutta la violenza a cui avevo assistito in quella drammatica mattinata.

Tutte quelle storie lette e “vissute” in quegli anni hanno indirizzato in modo inequivocabile e netto la mia formazione politica e culturale verso forme di aggregazione e partecipazione in antitesi con gruppi e movimenti fautori ed ispiratori della violenza, la soppressione, la repressione come forma di eliminazione dell’avversario, elementi che possiamo affermare essere prerogativa del fascismo e dei suoi seguaci in genere.  



Era l’8 aprile del 1924.

Altri avvenimenti accaddero in quell’ anno.

Nel corso dei mesi immediatamente successivi il Paese subì l’assassinio di Matteotti che non fece altro che avvelenare ancora di più gli animi tra sostenitori di Mussolini e gli antifascisti.

A maggio, Pelagio Rossi dovette cedere la carica di Sindaco a favore di Francesco Galli De Tommasi.

Uno dei primi atti ufficiali del nuovo Sindaco fu quello di organizzare i cerimoniali per l’arrivo del Genoa Calcio in arrivo a Torre Annunziata per disputare la finale scudetto contro lo squadrone del Savoia di patron Voiello.

Lo stesso Mussolini sarà a Torre Annunziata in visita a settembre in giro per le fabbriche.

Insomma, quel 1924 sarà un anno che sarà ricordato per i tanti avvenimenti accaduti nella nostra bella città, e non sempre per fatti positivi…


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