1920- TORRE ANNUNZIATA- PIAZZA CROCE |
"Nel multiforme e variopinto alveare della nostra società, in questo immenso palcoscenico della nostra umana esistenza, insieme strana, incomprensibile, misteriosa; nel grandioso teatro della vita, in cui ognuno recita, talvolta con destrezza e tal altra volta con malcelata malizia, la sua parte di personaggio vero o stantio, ci sono alcuni individui che caratterizzano in maniera rimarchevole l'aspetto esteriore della società stessa.
Ciò era piu' frequente decenni addietro, quranta o cinquanta anni fa, quando le relazioni tra le famiglie, tra i vicini di casa o del vicolo non aveva assunto l'aspetto frenetico di oggi che gli impegni e le varie attività personali ci enucleano lentamente e gradualmente dal caratteristico e tradizionale ambiente del proprio rione.
Per tale motivo, anche un povero derelitto, una persona al di sotto delle capacità normali di convivenza civile diventava allora oggetto di particolare attenzione, di riprovevole dileggio, che spesso rasentava la cattiveria, soprattutto perchè il "divertimento" si otteneva da qualcuno, già abbondantemente perseguitato dalla sfortuna.
Era proprio il caso di un certo LUIGI, che tutti, non conoscendone il cognome chiamavano "MAGNAPEZZE".
In verità, di pezze ne aveva parecchie sull'abito sporco e sfilacciato, in quanto la sua condizione di "uomo zero" non gli permetteva alcuna possibilità di disporre di uno meno sporco e meno liso.
LUIGI abitava in un buio e sordido tugurio della zona del CARMINIELLO, che, all'epoca, non era stato ancora inviluppato dal fenomeno dell'urbanesimo, ma che, invece, costituiva ancora quella parte di campagna di periferia, verde di obertosa coltura orticola.
Chi lo incontrava per le vie della città, e non sapendo di trovarsi di fronte a LUIGI MAGNAPEZZE, aveva un momento di vera perplessità, dubbioso di trovarsi o dinanzi a uno dei soliti vagabondi o di fronte al grande artista CHARLIE CHAPLIN, il popolare CHARLOT, in una delle scene dei suoi piu' apprezzati films del tempo, come "LA FEBBRE DELL'ORO" o "LE LUCI DELLA RIBALTA".
Aveva, il povero LUIGI, la medesima altezza e complessione del grande attore, i capelli incipientemente brizzolati, gli occhi espressivi e supplichevoli, il viso marcato e lo sguardo che rivelava la sua interna mestizia. Ai piedi due scarpe larghe, scucite e senza lacci, che, trascinate con rassegnazione, davano a MAGNAPEZZE, il tipico aspetto d'un clown di circo equestre. I suoi calzini erano quasi sempre differenti l'uno dall'altro e rotti in piu' punti, seminascosti da un paio di calzoni cascanti abbondantemente sulle scarpe malridotte. La giacca larga e con numerose toppe, gli scendeva dalle spalle.
Ma lo sfortunato LUIGI non se ne lamentava mai e, ironia del caso, accompagnava la sua profonda tristezza col "suono" di due pezzi di legno seghettato, su cui erano inchiodati alcuni dischetti di latta, che provocavano il caratteristico saltellio dei noti piedigrotteschi SCETAVAIASSE.
Di tanto in tanto, egli si fermava nei vicoli o nelle piazzette della nostra città e, convinto, in cuor suo, di far della musica, stropicciava un legno sull'altro, tentando alla buona un aritmico accenno di qualche motivo popolare in voga.
Un pò alla volta gli si facevano intorno alcuni ragazzini e qualche adulto, i quali gli rivolgevano parole non prive di scherno. Qualche ragazzo piu' audace, di quei monellacci che hanno caratterizzato tutte le epoche e tutti i quartieri, si portava dietro le spalle del povero "posteggiatore" e gli tirava l'orlo della giacca, facendolo barcollare un pò di qua e un pò di là.
Il misero LUIGI tentava di accennare qualche reazione, ma subito convinto della sua tristissima condizione di "UOMO OGGETTO" , fermava il suo naturale e istintivo impulso di rimenare quel cattivello, nella speranzosa attesa di avere qualche soldino dai presenti.
Anche se un simile spettacolo era ignominioso, per alcuni rappresentava pur sempre uno scherzoso trattenimento, anche se di pessimo gusto.
Ma non sempre era così.
Spesso la piccola folla che gli si radunava davanti esigeva la impietosa tortura di quel poveretto, la sua degradazione di essere pensante, e meritevole di rispetto, seppur nella sua derelitta condizione.
Ed allora qualcuno, di quelli, e ce ne sono sempre, che talvolta abbandonano le sembianze umane per vestire quelle di belva, gli faceva balenare davanti agli occhi una lucida liretta di nichelino, che in quel tempo era molto per un povero diavolo, e nell'altra mano porgeva all'infelice LUIGI un ritaglio di stoffa qualsiasi, insomma una pezza.
E quel povero uomo, reso avido dl conseguire quel desiserato "PREMIO" della lira promessagli, offriva agli astanti uno spettacolo pietoso, che a pensarci bene, assumeva tutto l'aspetto di una sadica pagliacciata.
Quel relitto umano introduceva in bocca una striscia della pezza di stoffa e man mano la masticava, fino a fare il gesto naturale di deglutirla.
Non era LUIGI un illusionista tanto da fare un gesto di magia nè cercava di nascondere entro la cavità orale quella striscia di stoffa, perchè alla fine della ... deglutinazione egli spalancava la bocca, mostrando ch'era vuota.
Era possibile ingoiare della stoffa?!
E subito quel poveretto stendeva la mano per ricevere il prezzo dello... SPETTACOLO.
Da ciò tutti lo chiamavano LUIGI MAGNAPEZZE.
Poi egli riprendeva il suo strascicante camminare verso altre zone per altre ... esibizioni oppure per fermarsi in qualche cantina (rivendita di vino), a quell'epoca molto numerose nella nostra città. Ne usciva, rimettendosi i suoi STRUMENTI sotto l'ascella e ricominciando a stendere la mano per un pò di elemosina.
Forse il povero LUIGI chiedeva, in cuor suo, non l'obolo dell'elemosina, ma la carità umana, quell'amore fraterno, quel calore che promana il cuore e che pochi sanno donare ai propri simili.
Quel cencio umano, reso oggetto di scherzi malvagi ed impietosi, girò per molti anni nelle vie della nostra città, sopportando con molta rassegnazione la sua dura condizione di ... pagliaccio per necessità. Ed in quella sua forzata remessività, in quel suo sguardo implorante, egli forse elevava una muta condanna alla società, che talvolta gioisce se tortura, che si esalta se umilia.
Un giorno, però, LUIGI MAGNAPEZZE non si vide piu' girovagare, nè di lui si seppe dove fosse andato o dove fosse finito.
Scomparve dalla scena cittadina, come il mimo scompare tra le quinte del palcoscenico.
Ma per lui non ci furono applausi."
RACCONTO DI VINCENZO MISTRETTA
LA VOCE DELLA PROVINCIA
22-12-1973
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