domenica 9 ottobre 2022

Giuseppe Ottone- Il Servo di Dio

Un’infanzia abbandonata

Nacque il 18 marzo 1928 a Castelpagano, in provincia di Benevento, da genitori ignoti. La giovane levatrice del paese provvide a registrarlo all’Ufficio competente il 23 dello stesso mese, con il nome di Giuseppe e il cognome Italico, dopo che, il giorno precedente, era stato battezzato nella Chiesa del SS. Salvatore di Castelpagano. Il Comune provvide a farlo accogliere nel Brefotrofio Provinciale di Benevento, con i pochi oggetti che gli erano stati trovati addosso: una fascia di tela, un pannolino e una cuffia.
In seguito si seppe che Giuseppe era il frutto della relazione extraconiugale di una donna di Castelpagano, il cui marito era emigrato in Argentina. Dopo aver appreso della duplice infedeltà della moglie, che dopo il bambino ebbe anche una figlia, non volle tornare; la coppia aveva già un altro bambino legittimo. La donna, di cui omettiamo il nome, voleva abortire, ma un’amica di famiglia la convinse a portare avanti la gravidanza; la stessa amica fece da madrina di Battesimo al neonato.

L’accoglienza dei coniugi Ottone
Giuseppe non restò per molto al Brefotrofio di Benevento, perché il 22 novembre dello stesso anno 1928 venne affidato in allevamento esterno ai coniugi Domenico Ottone e Maria Capria, di Benevento. Non avevano figli e volevano adempiere un voto pronunciato dalla signora, quindi chiesero un bambino da allevare con amore e da poter crescere come un figlio loro. 
I coniugi decisero di trasferirsi a Napoli nel timore che in seguito la madre naturale reclamasse il piccolo. Lei, dopo aver appreso il fatto, si legò amichevolmente con i genitori adottivi e seguì a distanza la formazione del figlio: commossa e contenta, si definiva «indegna madre». 
La religiosità della mamma adottiva, non ostacolata dal marito, divenne per Giuseppe un sicuro modello, al quale egli affettuosamente s’ispirava per trovare un orientamento della propria vita. Qualche tempo dopo la famiglia Ottone si trasferì definitivamente a Torre Annunziata, terra di mare, posta lungo la costa che si delinea sotto le pendici del Vesuvio.

Un bambino buono a casa, in chiesa e a scuola
Peppino, come fu presto soprannominato, crebbe sincero, deciso, ricco di qualità e di virtù. Andava volentieri a scuola senza mostrarsi mai scontento ed era disciplinato e armonioso con tutti. Prima di entrare a scuola passava in chiesa, senza curarsi delle prese in giro da parte dei compagni, per una breve visita a Gesù nel Tabernacolo. 
Dal 1934 fino al 1939 frequentò la scuola elementare, poi venne ammesso all’Istituto Tecnico Commerciale “Ernesto Cesàro”. A scuola era il primo della classe e fu sempre promosso.
La madre adottiva faceva la smacchiatrice, il padre invece il cameriere; lei di indole buona, pia, paziente, lui invece collerico, irascibile, spesso beveva vino più del necessario. Giuseppe cercò quindi di aiutare la mamma a sopportare i suoi gesti violenti. Di nascosto prese ad aiutare alcuni poveri con frequenti elemosine, utilizzando i suoi piccoli risparmi e anche dando le sue merende.

La religiosità di Peppino
Con grandissimo fervore, a sette anni, ricevette la Prima Comunione il 26 maggio 1935, nell’Arciconfraternita del SS. Rosario. Da allora si accostò all’Eucaristia con frequenza e con la passione per una vita santa.
Osservò assiduamente le pie pratiche dei primi nove venerdì al Sacro Cuore e dei 15 sabati alla Madonna del Rosario di Pompei. Ogni primo venerdì del mese era presente in chiesa già alle 5.30, incurante del freddo, sempre sorridente, tra alcuni operai dello Spolettificio militare, una grande occasione di lavoro per il territorio di Torre Annunziata. Si recava spesso in bicicletta alla vicina Pompei, per pregare davanti alla Vergine del Rosario, di cui era molto devoto, nel Santuario fondato dal beato Bartolo Longo.

Passatempi e desideri
Pur essendo serio, studioso, religioso, ubbidiente, era soprattutto un ragazzo con tutti i desideri e gli svaghi tipici della sua età. Ad esempio, gli piacevano i giornalini di storie avventurose: ne leggeva a centinaia dopo lo studio, scambiandoli con altri ragazzi, con cui giocava nei momenti liberi.
Il suo sogno più grande era quello di fare, da grande, l’Ufficiale di Marina, come del resto lo era e lo è per tanti ragazzi torresi, che da secoli intraprendono la carriera o i mestieri marinari.

Adozione definitiva
Dopo circa undici anni di affidamento esterno alla famiglia Ottone, il 26 giugno 1940 il giudice tutelare della Pretura di Torre Annunziata concesse l’affiliazione di Giuseppe, che così cambiò il cognome da Italico in Ottone.
In piena Guerra Mondiale, con l’alternarsi delle vicende politiche, che creavano incertezza e miseria, il padre si guadagnò il soprannome di “Mimì il fascista”. Oltre a quella tribolazione, la mamma Maria Capria dovette ricoverarsi a Napoli per subire una duplice operazione chirurgica molto delicata, specie per quei tempi. Giuseppe rimase molto scosso ed angosciato, per l’affetto davvero filiale che nutriva per lei.

L’offerta della vita
Il 3 febbraio 1941, giorno dell’operazione in clinica, mentre percorreva corso Vittorio Emanuele II con un gruppo di amici, trovò a terra un’immagine della Madonna di Pompei. La raccolse e la baciò devotamente, esclamando: «Madonna mia, se deve morire mamma, fai morire me».
Qualche minuto dopo, divenne pallido e cadde svenuto a terra. Gli amici e un vigile urbano lo soccorsero: fu trasportato al vicino Ospedale Civico e venne accolto alle 15.30 al Pronto Soccorso «in stato di incoscienza con polso e respiri frequentissimi…».
La madre ritornò in tutta fretta dall’ospedale napoletano, senza subire la duplice operazione: per il dolore, i capelli le erano diventati completamente bianchi. Lo assistette per tutta la notte, recitando il rosario, mentre si disponeva ad accettare la volontà di Dio per sé e per quel suo figlio tanto amato.
Peppino non riprese conoscenza: morì alle quattro del mattino del 4 febbraio 1941, a quasi 13 anni. Il suo sacrificio, offerto per la mamma tanto amata, fu accettato dal Signore: la donna fu guarita istantaneamente e continuò a vivere in buona salute fino al 1983, quando morì a 88 anni. Il marito, invece, morì nel 1975.

La fama di santità e il processo di beatificazione
La stima che Giuseppe godette in vita presso i coetanei, i genitori, il parroco e i suoi maestri è andata sempre più aumentando con gli anni, tanto da mutarsi in fama di santità. Il processo informativo diocesano per l’accertamento dell’eroicità delle sue virtù iniziò quindi a Napoli il 6 aprile 1962 e si concluse il 4 marzo 1975.
I suoi resti mortali, inizialmente inumati nel cimitero della città, furono traslati il 25 ottobre 1964 in una cappella laterale della Parrocchia Santuario dello Spirito Santo, detta comunemente del Carmine. Alla traslazione partecipò un gran numero di fedeli e di autorità, sia da Torre Annunziata, sia da Castelpagano.


Traslazione del cimitero di Torre Annunziata alla Chiesa del Carmine- 

25  Ottobre 1964

*Testo di ANTONIO BORRELLI- TRATTO DAL SITO "SANTIBEATI.IT" 

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