Scheda di Vincenzo Marasco, Lucia Muoio e Antonio Papa per
"22 Figli Illustri di Torre Annunziata" -
2° Raccolta- 2022
Ciro Arcella, secondo di quattro figli, nasce a Torre Annunziata il 9 agosto del 1929 da Michele e da Giuseppina De Gennaro.
Pur avendo conseguito il diploma presso l’Istituto Tecnico locale, asseconda il suo interesse per l’arte e la pittura, iscrivendosi al Liceo Artistico di Napoli. Dopo la maturità inizia a frequentare la Facoltà di Architettura presso l’Ateneo Federiciano, ma interrompe bruscamente gli studi universitari per entrare nel mondo del lavoro come progettista presso la Aerfer di Napoli. Nel frattempo, dopo aver conseguito anche l’abilitazione per l’insegnamento di Storia dell’arte e di Discipline Pittoriche, inizia la carriera di docente presso le scuole e gli istituti superiori del capoluogo e della provincia, proseguita ininterrottamente fino al 1985; alla professione d’insegnante abbina l’esperienza di pubblicista freelance per varie
testate giornalistiche napoletane. I suoi interessi artistici, tuttavia, restano ancorati all’ambiente culturale torrese, dove Ciro incomincia a organizzare le prime esposizioni con altri artisti della nostra città. E sempre qui nei primi anni Settanta fonda la Galleria d’arte Happening, dove, nel 1971, ha luogo l’esposizione Lo spazio negativo, ricordata per l’originale allestimento: l’Autore riempie la sala di palloncini, agitati continuamente da onde sonore per
rappresentare plasticamente lo spazio.Negli stessi anni partecipa vivamente alle iniziative del Club del giovedì sera, che miravano al rilancio della città anche sotto il profilo culturale e sociale. Più tardi Arcella affermerà che gli incontri presso il Circolo dei medici di Torre Annunziata avevano anticipato di oltre un decennio il rinomato Maurizio Costanzo Show.
Gli interessi culturali di Ciro sono molteplici e tra essi c’è anche la Musica: si dedica per lungo tempo allo studio della chitarra, con cui esegue brani del repertorio classico napoletano, allietando i suoi ospiti che nelle sere d’estate si ritrovano nel giardino della villetta di Torre Annunziata; non mancano le note più moderne dei Pink Floyd, che l’Artista manda in onda pure quando collabora ai programmi musicali trasmessi da Nuova Radio Oplonti.
Anche l’Archeologia coinvolge il suo genio, tanto che inizia a seguire personalmente gli scavi dell’antica Oplontis sepolta dall’eruzione del 79 d.C. e sulle pagine della rivista Il Pianeta Oplontis afferma che «la villa di via Sepolcri resta un esempio stupendo dell’architettura romana.»
Spesso Ciro si cimenta in esperienze legate alla sua prima passione, l’Architettura: progetta la propria casa a Torre e diverse cappelle cimiteriali cittadine, e, quando si trasferisce a Pordenone, dove la moglie Lidia Buoninconti vince un concorso notarile, riceve l’incarico di ristrutturare Villa Arca. In tal senso, merita di essere ricordata la pubblicazione postuma di alcuni scritti del 1995 riguardanti sei chiese moderne di Pordenone e della sua provincia, patrocinata dall’associazione F.I.D.A.P.A., di cui è presidente
Gea Arcella, una delle tre figlie dell’artista Nella nuova sede friulana tra il 1969 e il 1983 si dedica con entusiasmo ai disegni a matita e a china, miste alla tecnica a spruzzo, che risulterà determinante del percorso artistico successivo. Da questa nuova sperimentazione nascono opere dedicate alla Madonna, alla quale dà il volto
della moglie, vista come l’angelo del focolare. In questo ciclo di pitture forte è l’influenza delle icone russe e tale vicinanza viene messa in risalto dall’uso della foglia d’oro. La più rappresentativa è la Madonna del 1969, che si aggiudica il primo premio al Concorso nazionale di pittura dell’Arte sacra, organizzato al Circolo Professionisti e Artisti “G. Esposito” di Torre Annunziata, con il conferimento della Coppa del Ministero dell’Industria e del Commercio, On. Magrì.
Verso la fine degli anni Settanta, il Maestro abbandona definitivamente la tela e i colori tradizionali e si serve della tecnica a spruzzo con l’aerografo e il compressore, utilizzando vernici acriliche e grandi lastre d’alluminio, che può manovrare con facilità, avendo a disposizione uno studio molto ampio.
Per perfezionare il nuovo metodo di pittura, frequenta corsi di specializzazione sulla Diagnostica Luscher, mettendo a punto tecniche di screening attraverso test grafici e del colore.
Nelle opere realizzate con questi strumenti all’avanguardia, Ciro esprime una religiosità nuova che mira a cercare il legame tra Dio e l’Uomo attraverso la rappresentazione del Creato intatto, così come era stato donato all’Umanità all’atto della creazione, e che l’uomo non cerca di preservare, né di proteggere, per cui la sua azione distruttrice contro la Natura diventa delittuosa. Per tale ragione, l’essere umano non fa mai la sua comparsa in questi dipinti, né sono rappresentate case e strade, ma solo il verde che si espande all’infinito: lo sguardo dello spettatore si perde, quasi si smarrisce in
questo continuum; l’orizzonte si dissolve e l’atmosfera diventa pura, evanescente, mentre l’anima si inebria di un diffuso panteismo, perdendo il contatto con la realtà per diventare parte della Natura stessa. Ed è proprio nell’attimo della osmosi tra Creatura e Creato che si può cogliere l’universalità dell’arte e il rapporto spirituale tra l’artista e Dio. Questo processo catartico è reso possibile attraverso l’utilizzo di una tavolozza di colori trasparenti, impalpabili che trasformano il concreto in elemento trascendentale.
Lo stesso rapporto intimistico e simbolico si ritrova nei cicli dedicati alle vele e agli uccelli, dove il gabbiano, che abbandona la costa per sorvolare gli oceani e appagare la sua sete di libertà, diventa portatore di un messaggio silenzioso. In seguito a fianco al gabbiano, uccello di mare, Ciro rappresenta la rondine, uccello terrestre, che ogni anno fa ritorno alla sua terra per ricostruire il nido. Come la rondine anche l’artista ogni estate spiega le vele e ritorna alla sua Torre, alle sue origini per stemperare il dolore della lontananza forzata.
Nel 1973 espone a Colonia e le tele vengono commentate da un suo concittadino, Michele Prisco, che mette in evidenza i rapporti cromatici nei dipinti dell’Artista, dove l’osservatore, profondamente attonito, con l’anima entra nella composizione e diventa ulteriore elemento naturale, una foglia o infiorescenza di un ramo.
Come la sete di libertà dell’Artista è evidente nel distacco da tutte le correnti pittoriche, allo stesso modo Ciro identifica a posteriori le sue opere, riprendendo il titolo di una canzone o un verso di una poesia, quasi a volerci dire che egli riversa sulla tela o sulla lastra d’alluminio il suo stato d’animo in tutte le sfumature e poi le titola. Quindi è la composizione che sceglie il titolo e non il titolo a ispirare il soggetto pittorico.
Ciro Arcella muore prematuramente a Pordenone il 26 maggio del 2003, ma solo dopo aver percorso tutti i sentieri dell’arte, anche quelli inesplorati, rifiutando ogni etichetta, ogni cliché che lo avrebbe voluto ingabbiato in schemi precostituiti, perché la sua nave, libera, è sempre stata pronta a spezzare gli ormeggi e a seguire il volo dei gabbiani, alla ricerca del suo porto, del suo essere particella infinitesimale dell’eternità.
Libertà assoluta!Nel giugno del 2014, a Udine, il Club Unesco e i Civici Musei, nel complesso del Castello, allestiscono la prima vera retrospettiva del Maestro nell’ambito del progetto Le forme dell’arte, come forma di riconoscenza per un Artista adottato dal Friuli cui il genio ha dato molto.
Renata Capria d’Aronco nel testo Ciro Arcella. Le forme dell’arte ha scritto:«Il Club Unesco di Udine è dell’avviso che l’opera di Ciro Arcella, con linguaggio esplicito e implicito, possa […] essere intesa come promozione e valida testimonianza della cultura della pace, della non violenza, nel rispetto dei diritti e dei doveri fondamentali e universali dell’uomo.» Ma neppure la sua città natale ha dimenticato colui che ha formato artisticamente intere generazioni di giovani torresi; infatti ancora una volta Michele Prisco – così come Mario Selleri, Massimo Corcione, Domenico Rea e altri – esprime ammirazione e giudizi lusinghieri su Ciro un maestro che, pur fisicamente lontano, non ha mai dimenticato, anzi ha continuato sempre ad amare la sua città, con il mare e i gabbiani che numerosi si posano ancora sugli alberi del giardino della sua casa, tanto prossima agli scogli di Capo Oncino.
Di Ciro, nella memoria collettiva, oltre alle opere, rimane vivo il ricordo della folta chioma bianca, scompigliata dal vento del suo mare, come pure l’immagine della lunga sciarpa d’artista, avvolta ripetutamente intorno al collo.
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