Personaggi di grande umanità e simpatia che hanno saputo meritarsi il ricordo e il rispetto in ogni parte del mondo. Anche questo lato caratteriale ha sempre contraddistinto il popolo torrese, capace di farsi amare dappertutto. Oggi vi voglio parlare di un uomo diventato simbolo per un'intera città per oltre cinquant'anni. Anzi, diciamola tutta. Per mezza città, quella parte il cui tifo calcistico si concentrava sui colori della Sampdoria.
Ecco, il nostro personaggio era il loro simbolo, con fischietto e tamburo a tifare per i colori blucerchiati in ogni partita della sua squadra, in casa e in trasferta.
Questo che vi propongo è l'articolo de "La Repubblica" del 27 marzo 2003, scritto a due giorni dalla sua morte.
"Ci sarà tutta la squadra domani alle 10,
presso la chiesa dell'Immacolata di Pegli, a dare l'ultimo saluto a Damiano
Damoia, lo storico tamburino blucerchiato, sconfitto da un male incurabile
martedì sera intorno alle 23 all' ospedale San Carlo di Voltri. L' intero mondo
sampdoriano si stringerà commosso attorno alla memoria di un uomo che per anni,
in modo pittoresco e simpatico, ha condotto il tifo blucerchiato. Damiano
infatti era una vera e propria istituzione e ieri, fra i tanti messaggi di
cordoglio, non sono mancati quelli dei tifosi rossoblù, che in questi decenni
avevano imparato ad apprezzarlo, nonostante la fede calcistica avversa. Damiano
Damoia ha legato la sua vita alla propria squadra del cuore. Era nato a Torre
Annunziata il 22 ottobre del 1920, ma nel 1947, a 27 anni, si era trasferito a
Genova in cerca di lavoro. Di Napoli, che peraltro non ha mai ripudiato, gli
era rimasto solo l'accento, sul piano calcistico c'era solo la
Sampdoria, squadra che aveva imparato ad apprezzare sin dai suoi primi giorni
genovesi, «durante una gara contro la Lucchese, in cui vidi tanti gol di
Bassetto e presi un sacco di botte dai tifosi avversari», e per la quale ha
effettuato più di 500 trasferte. Quello dei viaggi fuori Genova dietro ai suoi
beniamini, soprattutto negli ultimi anni, era diventato un autentico
tormentone. Damiano, che nell' ambiente conosceva tutti, ogni qualvolta
incontrava un giornalista gli ricordava il numero esatto delle sue trasferte.
Teneva un conto preciso e volutamente sbagliò quando attraversò la fatidica soglia
delle cinquecento. In un'intervista a "Repubblica", il 14 aprile del
2001, confessò: «A Verona, nella nostra sfida contro il Chievo, taglierò il
prestigioso traguardo. In verità lo avrei già tagliato due settimane fa, nel
derby, per calendario fuori casa, ma è stata una partita nata male, siamo
andati subito in svantaggio e io a venticinque minuti dalla fine ho preferito
lasciare lo stadio: ormai avevo capito come sarebbe andata a finire». Non
poteva, un'impresa così importante, essere sporcata da una sconfitta e per di
più contro i cugini. Così, giocando sul fatto che comunque la sfida si era
consumata a Marassi, il "tamburino" ripiegò sull' uno a uno contro il
Chievo, un pareggio importante, contro una squadra destinata ad andare in serie
A. Quella promozione che lui sognava tanto per la Sampdoria, dopo aver vissuto
con entusiasmo quelle del '66-' 67 con il suo idolo Bernardini e dell'81-82 con
Paolo Mantovani, e che purtroppo non è riuscito a vedere. Damiano se n' è
andato in silenzio, dopo che per anni con il suo chiasso folkloristico aveva
animato Marassi (prima la gradinata Sud e poi da anziano la tribuna,
solitamente dietro la panchina dell'allenatore avversario) e Bogliasco, campo
d' allenamento che raggiungeva spesso, nonostante abitasse a Pegli. Oggi la
Sampdoria è di nuovo forte, come la voleva lui. Ma non sarà facile fare a meno
del suo immancabile "tamburino"."
personaggi che fanno onore a Torre e ti fanno sentire orgoglioso di essere nato a torre.
RispondiEliminapersonaggio che fa onore a Torre e ti fa sentire orgoglioso di essere nato a Torre
RispondiElimina