Francesco D’Apice è stato uno di quei personaggi che sono
rimasti nella memoria collettiva di tanti torresi nati all’inizio degli anni
Cinquanta del secolo scorso.
Il suo nome, probabilmente, potrà aiutare poco nel capire
chi fosse, ma come spesso accade con coloro che hanno svolto attività ambulante
nella Torre Annunziata dal dopoguerra in poi, ci viene in aiuto il suo
soprannome per provare a raccontarvelo con le notizie e i ricordi che ci ha
affidato, e di cui ringraziamo, suo figlio devotissimo Salvatore.
Dunque Francesco D’apice era per tutti i bambini di allora
“Ciccio ò briusciar”.
Ciccio era nato a Castellammare di Stabia nel 1935 fin da giovane
scelse di stabilirsi nella nostra città ove volle mettere in pratica l’arte
dolciaria di cui era molto capace.
Iniziò la sua attività di vendita di briosce nei pressi del
luogo dove aveva messo su casa, famiglia e lavoro.
Non aveva pause, non conosceva soste nel portare avanti
degnamente la numerosa famiglia.
Si applicava in numerosi mestieri per poter portare
onestamente il pane a casa: raccoglieva cartoni per rivenderli, si prestava
come manodopera ove occorresse, a volte si prestava anche a opere di
facchinaggio.
Insomma, dove c’era da lavorare onestamente per soddisfare
la famiglia, lui c’era.
L’attività che gli dette piu’ soddisfazioni fu quella del
venditore ambulante di “graffe”, da cui il soprannome.
La preparazione delle ottime briosce di allora, molto piu’
buone e diverse da quelle fatte oggi, avveniva nei vicoli delle carceri dove,
appunto, abitava.
Dapprima la vendita avveniva direttamente in casa, sita tra
Largo Fontana e via Magnolia.
I ragazzi passavano dalla sua abitazione al mattino e
trovavano pronto il prezioso e dolce alimento appena sfornato.
In poco tempo dovette allargare la sua zona di vendita per
la richiesta che gli arrivava e quindi la preparazione iniziava la notte stessa
in casa D’apice.
Pian piano, all’inizio degli anni Sessanta, la zona di
vendita interessò, oltre i vicoli delle carceri, la zona della marina, palazzo
Fienga, la Nunziata, il porto.
Una cesta di vimini, ricolma di graffe appena sfornate e
posizionata sopra la testa di Ciccio, ogni giorno veniva svuotata dai fedeli clienti.
Era la Torre Annunziata che stava vivendo i primi anni di
ripresa dal disastroso dopoguerra, non ancora ripresasi, a mai lo sarà, dallo
scoppio dei carri del 1946, in attesa dell’arrivo degli anni dell’illusione
delle industrie siderurgiche che hanno acceso speranze di ricrescita e di
ritorno all’economia solida a cui ci avevano abituati i nostri nonni con il
loro straordinario lavoro di inizio Novecento.
Il nostro Salvatore, figlio di Ciccio, ci racconta con una
punta di nostalgia il giorno in cui il padre, all’inizio degli anni settanta
gli disse che non poteva piu’ andare a scuola, perché doveva aiutarlo nella
preparazione delle graffe appena sfornate, esigenza nata dal mutato gusto dei
nostri ragazzi: Salvatore doveva tagliarle, spalmare la cioccolata al suo
interno e richiuderle.
Nel frattempo la vendita delle graffe e briosce si era arricchita
con altri prodotti richiesti a gran voce, primo fra tutti il biscotto
all’amarena, cui arrivava a Ciccio già preparato.
L’attività di onesto venditore di “Ciccio ò briusciar” andò
avanti fino al 1977.
Due anni dopo, una brutta malattia, lo portò via dalla vita
terrena, a soli 46 anni.
Oggi, in via amichevole, il figlio Salvatore D’apice,
proprietario del negozio “50 centesimi” in Corso Vittorio Emanuele di fronte
alla Parrocchia dell’Immacolata Concezione, ha voluto che lo ricordassimo a voi
affinché lo ricordaste come uomo giusto, onesto e lavoratore della Torre
Annunziata di allora.
Grazie Salvatore!
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