lunedì 19 agosto 2019

Francesco D'apice, alias "Ciccio ò briusciar", la dolcezza ambulante degli anni Sessanta!



Francesco D’Apice è stato uno di quei personaggi che sono rimasti nella memoria collettiva di tanti torresi nati all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso.

Il suo nome, probabilmente, potrà aiutare poco nel capire chi fosse, ma come spesso accade con coloro che hanno svolto attività ambulante nella Torre Annunziata dal dopoguerra in poi, ci viene in aiuto il suo soprannome per provare a raccontarvelo con le notizie e i ricordi che ci ha affidato, e di cui ringraziamo, suo figlio devotissimo Salvatore.

Dunque Francesco D’apice era per tutti i bambini di allora “Ciccio ò briusciar”.

Ciccio era nato a Castellammare di Stabia nel 1935 fin da giovane scelse di stabilirsi nella nostra città ove volle mettere in pratica l’arte dolciaria di cui era molto capace.

Iniziò la sua attività di vendita di briosce nei pressi del luogo dove aveva messo su casa, famiglia e lavoro.

Non aveva pause, non conosceva soste nel portare avanti degnamente la numerosa famiglia.

Si applicava in numerosi mestieri per poter portare onestamente il pane a casa: raccoglieva cartoni per rivenderli, si prestava come manodopera ove occorresse, a volte si prestava anche a opere di facchinaggio.

Insomma, dove c’era da lavorare onestamente per soddisfare la famiglia, lui c’era.

L’attività che gli dette piu’ soddisfazioni fu quella del venditore ambulante di “graffe”, da cui il soprannome.

La preparazione delle ottime briosce di allora, molto piu’ buone e diverse da quelle fatte oggi, avveniva nei vicoli delle carceri dove, appunto, abitava.

Dapprima la vendita avveniva direttamente in casa, sita tra Largo Fontana e via Magnolia.

I ragazzi passavano dalla sua abitazione al mattino e trovavano pronto il prezioso e dolce alimento appena sfornato.

In poco tempo dovette allargare la sua zona di vendita per la richiesta che gli arrivava e quindi la preparazione iniziava la notte stessa in casa D’apice.

Pian piano, all’inizio degli anni Sessanta, la zona di vendita interessò, oltre i vicoli delle carceri, la zona della marina, palazzo Fienga, la Nunziata, il porto.

Una cesta di vimini, ricolma di graffe appena sfornate e posizionata sopra la testa di Ciccio, ogni giorno veniva svuotata dai fedeli clienti.

Era la Torre Annunziata che stava vivendo i primi anni di ripresa dal disastroso dopoguerra, non ancora ripresasi, a mai lo sarà, dallo scoppio dei carri del 1946, in attesa dell’arrivo degli anni dell’illusione delle industrie siderurgiche che hanno acceso speranze di ricrescita e di ritorno all’economia solida a cui ci avevano abituati i nostri nonni con il loro straordinario lavoro di inizio Novecento.

Il nostro Salvatore, figlio di Ciccio, ci racconta con una punta di nostalgia il giorno in cui il padre, all’inizio degli anni settanta gli disse che non poteva piu’ andare a scuola, perché doveva aiutarlo nella preparazione delle graffe appena sfornate, esigenza nata dal mutato gusto dei nostri ragazzi: Salvatore doveva tagliarle, spalmare la cioccolata al suo interno e richiuderle.

Nel frattempo la vendita delle graffe e briosce si era arricchita con altri prodotti richiesti a gran voce, primo fra tutti il biscotto all’amarena, cui arrivava a Ciccio già preparato.

L’attività di onesto venditore di “Ciccio ò briusciar” andò avanti fino al 1977.

Due anni dopo, una brutta malattia, lo portò via dalla vita terrena, a soli 46 anni.

Oggi, in via amichevole, il figlio Salvatore D’apice, proprietario del negozio “50 centesimi” in Corso Vittorio Emanuele di fronte alla Parrocchia dell’Immacolata Concezione, ha voluto che lo ricordassimo a voi affinché lo ricordaste come uomo giusto, onesto e lavoratore della Torre Annunziata di allora.

Grazie Salvatore!


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