Bastarono pochi minuti per decapitare una struttura simbolo.
La “casa di Ban”, inaugurata nel 1986 alla presenza del
prefetto di Napoli, era nata con questo nome in memoria di un giovane ebreo morto
per overdose.
Era l’unica struttura pubblica a cui si potevano rivolgere
coloro che volevano uscire dal tunnel della droga.
Venivano aiutati in un percorso terapeutico di
disintossicazione da eroina comprensivo di utilizzo di metadone, surrogato dell’eroina stessa.
L’idea di realizzare questo sogno era venuta a Carlo
Petrella, un sociologo impegnato in prima fila da almeno un decennio contro la
piaga che tanti morti lasciò sulle strade cittadine tra l’80 e il 90.
Oltre a lui erano almeno una cinquantina i volontari che davano
una mano per fare andare avanti la struttura.
Quell’alba del 10 dicembre i carabinieri eseguirono otto
arresti, su ordine dei magistrati Gabriele, Ambrosio e Bobbio di Napoli, sia
nelle abitazioni dei medici che nella riunione di medici che stava svolgendosi a
Napoli sul tema dell’Aids.
Naturalmente le accuse maggiore riguardavano Carlo Petrella,
accusato di detenzione, trasporto e spaccio di sostanze stupefacenti, oltre al
peculato.
In pratica Petrella e i suoi collaboratori erano accusati di
dare metadone a chi non era nella lista dei 300 tossici per cui era stata
prevista la terapia.
Secondo l’accusa, una decina di ragazzi di famiglia “bene”
avrebbero ricevuto il metadone fino a casa evitando la schedatura nei registri
e in cambio, i loro “influenti” genitori si sarebbero adoperati per aiutare per
quello che era nelle loro possibilità, nell’illustrare positivamente il lavoro
della struttura favorendone il finanziamento del progetto.
Tutti i registri nella casa vennero sequestrati, inoltre
altri faldoni vennero recuperati bella sede dell’Usl 34.
Con la partenza dell’inchiesta e l’esecuzione degli arresti
si chiuse praticamente l’esperienza di “Ban”.
Alla fine del percorso giudiziario, Carlo Petrella venne assolto.
Alla fine del percorso giudiziario, Carlo Petrella venne assolto.
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