Le cronache del 1836 raccontano quanto fosse stata impietosa
la terribile epidemia colerica a Torre Annunziata.
Basti ricordare che a fronte di una popolazione di circa
diecimila abitanti i morti furono oltre mille.
Oltre i morti, furono migliaia le persone che rimasero
inesorabilmente traumatizzate dei segni indelebili lasciati sulla loro pelle,
oltre che sullo spirito.
Il dolore, il panico, i lutti, le notizie che si susseguirono
a ritmo impressionante sulle condizioni degli infetti segnarono almeno tre
generazioni di torresi.
Solo il 30 giugno del 1837, il giorno dopo che la Madonna
della Chiesa della Immacolata venne portata in processione per le strade
cittadine, si assistette alla definitiva cessazione dell’epidemia!
Il colera, anzi, “il colera asiatico” era stato sconfitto!
Questa certezza si ebbe quando si certificò che la fonte
epidemica venne “portata” a Torre da marinai a bordo di mercantili che provenienti
dall’India, e precisamente dalle navi ancorate nei pressi del Gange, i quali arrivavano
presso il nostro porto per operazioni di carico e scarico.
Nel corso dei decenni successivi altre situazioni analoghe,
purtroppo, si ripeterono.
Nel 1866, nel 1873 e nel 1886.
In questo ultimo evento, quello del 1886, voglio raccontarvi
una storia ai piu’ sconosciuta: la storia di
Aniello Montella.
Aniello nacque a Torre Annunziata il 12 luglio del 1857.
Suo padre, Agostino, di anni trenta, era uno sfarinatore di
professione.
Sua madre era Rosa Prota, aveva venticinque anni.
La famiglia abitava nella zona cosiddetta “fuori la porta”,
uno dei punti storici della città.
Nel corso della sua crescita Aniello si dimostrò molto sensibile
e ben disposto all’aiuto dell’essere umano, colmo di bontà ed entusiasmo nell’esercitare
la sua crescente passione per la religione.
Ben presto venne ordinato sacerdote, e qui la sua figura si
vide costretta a dividersi, rivestendo i panni di uomo di chiesa con quelli di
uomo di strada, “obbligato”, anche dalla continua irruzione ciclica del morbo
che costringeva le forze “positive e volenterose” della città a scendere in
strada, ad entrare nelle case dei malati, affrontare situazioni terribili,
anche per la diffidenza e la rabbia che covavano i parenti dei colpiti nei
confronti dei medici comunali e delle autorità, colpevoli, a loro dire, della
mancata prevenzione e dall’inefficacia dei rimedi posti alla proliferazione del
colera.
Aniello, dunque, visse sulla sua pelle l’esperienza del
1866, quando aveva appena nove anni.
In quella successiva del 1873 di anni ne aveva quasi venti,
mentre in quella del 1886, aveva compiuto ventinove anni.
Ormai la sua opera di generosità aveva raggiunto gran parte
delle famiglie che, una volta colpite dal morbo al loro interno, chiedevano la presenza di Don Aniello per suppliche, benedizioni e preghiere.
Nel corso dell’epidemia del 1886, Don Aniello andava di casa
in casa assieme ai venti volontari della Croce Bianca per alleviare le pene
degli infettati, trascorrendo gran parte della giornata tra la sua gente.
La Croce Bianca era strutturata in modo che al mattino,
giunti da Napoli i dieci volontari prescelti, questi venivano affiancati da dieci
volontari torresi, e queste venti persone davano il cambio giornaliero ai loro
colleghi, impegnati nella misera opera di cura dei colpiti dal morbo.
In questa epidemia del 1886 le accuse stavolta caddero sulle
difficili condizioni igienico sanitarie presenti in città.
L’attacco epidemico avvenne in modo rapido e selettivo.
La zona piu’ colpita dal morbo era quella del Vallone.
Vennero attaccati i nuclei abitativi in cui risultavano
esserci acque stagnanti, le vie dove erano collocati cessi, bagni e fogne
all’aperto nei pressi dei depositi di conserve di acqua, case senza areazione e
dove vivevano un numero di persone superiore al normale.
Almeno un quarto della popolazione torrese fuggì dalla città
portandosi dietro materassi e altre misere cose accampandosi in campagna.
Da menzionare che, in quei terribili giorni, arrivarono
anche un gruppo di volontari livornesi per apportare il loro aiuto.
Ripartirono dopo una decina di giorni, ricevendo i
ringraziamenti delle autorità e dell’On. Petriccione.
La potenza del morbo iniziò a diminuire dopo qualche giorno
da quel 10 settembre 1886, giorno della morte del giovane sacerdote Aniello
Montella che, come recita il dispaccio dell’agenzia che riportava giornalmente
le notizie da Torre Annunziata sulle ripercussioni del colera, “molto si
adoperò durante l’infierire del morbo”.
Don Aniello Montella, sacerdote di Torre Annunziata, morto a
ventinove anni.
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