lunedì 10 settembre 2018

1950, 11 settembre- L'omicidio di Vincenzo Fiorillo. Arrestati gli uomini a cui aveva dato un lavoro!




Quella notte dell'undici settembre del 1950, Vincenzo rientrò in casa e si accorse che le luci non si accendevano.




Vincenzo Fiorillo, 50 anni nativo di Torre Annunziata, aveva fatto la sua fortuna a Milano nel commercio degli apparecchi elettronici ma, per i periodi di vacanze, era solito portarsi a Torre dove aveva un appartamento in via Gambardella.

Tra l’altro, non lontano da quella zona, abitavano le due sue sorelle.
Durante questo periodo di ferie si serviva di due aiutanti, Francesco il giardiniere e Angelo come autista.

Ritorniamo in casa.

Vincenzo, non accendendosi le luci nella stanza d’ingresso, procedette nell’oscurità verso la stanza da letto dove era posizionato l’interruttore generale.

All’improvviso, con una mossa fulminea, venne assalito e colpito al petto da una pugnalata tremenda.

Cadde moribondo a terra, riuscendo a gridare aiuto.

Il suo assalitore gli strappò di dosso la giacca e gli sfilò dal dito un anello costosissimo composto da diamanti, riuscendo a scappare in pochissimo tempo.

Un vicino di casa, sentite le urla di Vincenzo, accorse in suo aiuto e, assieme ad Angelo l’autista, arrivato in quel momento, caricarono in macchina il ferito per trasportarlo all’ospedale.

All’arrivo al nosocomio oplontino Vincenzo riuscì a raccontare dell’aggressione e dell’anello rubato ma, durante la disperata operazione tentata dai medici, morì quella notte stessa.

Le indagini partirono proprio dalla perquisizione della casa, in via Gambardella, quella stessa notte.

Il vicino che aveva sentito per primo le urla, Arnaldo Alfani, disse che aveva recuperato la giacca e l’anello nell’androne del palazzo.

Mentre proseguivano gli accertamenti, le indagini presero la piega decisiva dopo le dichiarazioni delle sorelle di Vincenzo, e da lì iniziarono i controlli sui due uomini al servizio del commerciante ucciso.

Bastarono pochi elementi per inchiodarli alle loro responsabilità, confermato dal fatto che iniziarono ad accusarsi a vicenda sul metodo dell’aggressione.

I due uomini avevano deciso di derubare il loro datore di lavoro per portargli via i soldi e l’anello.

Uno di loro, Francesco il giardiniere, si era nascosto all’interno della casa in attesa del rientro di Vincenzo per sopraffarlo e colpirlo con un pugnale.

Per agevolarsi nell’azione delittuosa, una volta entrato in casa da una finestrina laterale, mise fuori servizio il generatore elettrico, costringendo il malcapitato Vincenzo a brancolare nel buio al suo rientro.

Angelo l’autista, invece, era rimasto nei paraggi in attesa dell’accaduto, e fu costretto, suo malgrado, a caricare in auto il povero Vincenzo per trasportarlo al pronto soccorso, pressato dalla presenza del signor Alfani, il vicino di casa accorso alle urla di Vincenzo.

In tre giorni la matassa venne sbrogliata dall’ottimo lavoro svolto dai funzionari della polizia locale.

Il caso era chiuso!

Il processo si tenne a Napoli appena un mese dopo.

La Corte d’Assise condannò Francesco Belfiore all’ergastolo e Angelo Cirillo, complice dell’omicidio, a trenta anni di reclusione.

Alla sentenza, la folla accorsa numerosissima per il clamore suscitato dall’efferato delitto, manifestò ampi segni di consenso.

Francesco Belfiore cadde svenuto e venne trasportato a braccia nella camera di sicurezza.

 Sei anni dopo, nel 1956, la Corte d’Appello accolse qualche richiesta della difesa, riducendo le pene ad entrambi.

Belfiore riuscì ad evitare l’ergastolo, vedendosi affibbiare trent’anni di carcere, mentre a Cirillo la pena venne stabilita in ventiquattro anni.

Si chiuse così il sipario su quell’orrendo omicidio consumatosi ai danni di un onesto cittadino torrese la cui unica colpa fu quella di aver fatto fortuna e godersi, parte di questa fortuna, nella sua amata città.







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