Vincenzo Fiorillo, 50 anni nativo di Torre Annunziata, aveva fatto la sua fortuna a Milano nel commercio degli apparecchi elettronici ma, per i periodi di vacanze, era solito portarsi a Torre dove aveva un appartamento in via Gambardella.
Tra l’altro, non lontano da quella zona, abitavano le due
sue sorelle.
Durante questo periodo di ferie si serviva di due aiutanti,
Francesco il giardiniere e Angelo come autista.
Ritorniamo in casa.
Vincenzo, non accendendosi le luci nella stanza d’ingresso,
procedette nell’oscurità verso la stanza da letto dove era posizionato l’interruttore
generale.
All’improvviso, con una mossa fulminea, venne assalito e
colpito al petto da una pugnalata tremenda.
Cadde moribondo a terra, riuscendo a gridare aiuto.
Il suo assalitore gli strappò di dosso la giacca e gli sfilò
dal dito un anello costosissimo composto da diamanti, riuscendo a scappare in pochissimo tempo.
Un vicino di casa, sentite le urla di Vincenzo, accorse in
suo aiuto e, assieme ad Angelo l’autista, arrivato in quel momento, caricarono in
macchina il ferito per trasportarlo all’ospedale.
All’arrivo al nosocomio oplontino Vincenzo riuscì a
raccontare dell’aggressione e dell’anello rubato ma, durante la disperata
operazione tentata dai medici, morì quella notte stessa.
Le indagini partirono proprio dalla perquisizione della casa,
in via Gambardella, quella stessa notte.
Il vicino che aveva sentito per primo le urla, Arnaldo
Alfani, disse che aveva recuperato la giacca e l’anello nell’androne del
palazzo.
Mentre proseguivano gli accertamenti, le indagini presero la
piega decisiva dopo le dichiarazioni delle sorelle di Vincenzo, e da lì iniziarono
i controlli sui due uomini al servizio del commerciante ucciso.
Bastarono pochi elementi per inchiodarli alle loro
responsabilità, confermato dal fatto che iniziarono ad accusarsi a vicenda sul
metodo dell’aggressione.
I due uomini avevano deciso di derubare il loro datore di
lavoro per portargli via i soldi e l’anello.
Uno di loro, Francesco il giardiniere, si era nascosto all’interno
della casa in attesa del rientro di Vincenzo per sopraffarlo e colpirlo con un
pugnale.
Per agevolarsi nell’azione delittuosa, una volta entrato in
casa da una finestrina laterale, mise fuori servizio il generatore elettrico,
costringendo il malcapitato Vincenzo a brancolare nel buio al suo rientro.
Angelo l’autista, invece, era rimasto nei paraggi in attesa
dell’accaduto, e fu costretto, suo malgrado, a caricare in auto il povero
Vincenzo per trasportarlo al pronto soccorso, pressato dalla presenza del signor
Alfani, il vicino di casa accorso alle urla di Vincenzo.
In tre giorni la matassa venne sbrogliata dall’ottimo lavoro
svolto dai funzionari della polizia locale.
Il caso era chiuso!
Il processo si tenne a Napoli appena un mese dopo.
La Corte d’Assise condannò Francesco Belfiore all’ergastolo
e Angelo Cirillo, complice dell’omicidio, a trenta anni di reclusione.
Alla sentenza, la folla accorsa numerosissima per il clamore
suscitato dall’efferato delitto, manifestò ampi segni di consenso.
Francesco Belfiore cadde svenuto e venne trasportato a
braccia nella camera di sicurezza.
Sei anni dopo, nel
1956, la Corte d’Appello accolse qualche richiesta della difesa, riducendo le
pene ad entrambi.
Belfiore riuscì ad evitare l’ergastolo, vedendosi affibbiare
trent’anni di carcere, mentre a Cirillo la pena venne stabilita in ventiquattro
anni.
Si chiuse così il sipario su quell’orrendo omicidio
consumatosi ai danni di un onesto cittadino torrese la cui unica colpa fu
quella di aver fatto fortuna e godersi, parte di questa fortuna, nella sua
amata città.
Purtroppo l'avarizia fa perdere il senno
RispondiEliminaA volte certi gesti sono imperdonabili, essere ingordi fa perdere la ragione.
RispondiElimina