venerdì 18 gennaio 2019

Real Torrese- La speranza dei giovani torresi corre sul campo...


Non solo Savoia a Torre Annunziata.

Agli inizi degli anni ’80 diverse realtà sportive andarono ad integrare il complicato mondo sportivo della nostra città.

Complicato, perché come primo problema, qualunque fosse stato lo sport prescelto, gli sportivi cittadini avrebbero avuto il problema dello stadio dove allenarsi, della palestra dove esibirsi o di un palazzetto dello sport adeguato all’attività preposta.

Niente sarebbe stato scontato o facile a Torre Annunziata, era questo il clima.

Ma furono in tanti a non arrendersi, a provare a cambiare il sistema di partecipazione all’attività sportiva.

La realtà calcistica che voglio ricordare oggi si chiama Real Torrese.

Nata nel 1980 da una iniziativa di residenti del centro storico, in pochi mesi misero insieme una autentica macchina da guerra, capace di vincere campionati in serie, arrivando fino alla Promozione.

Come artefice di questo miracolo organizzativo non possiamo non menzionare il presidente, colui che praticamente mise mano al portafoglio per formare la corazzata Real.

Franco Cirillo, un brav’uomo abitante nei pressi del vico San Gennaro, che svolgeva attività di negoziante, soprannominato da tutti come “Franchino o’ piattàr” per la merceologia dei suoi prodotti in vendita.

La sede della società venne stabilita in Via Giardino, proprio nei pressi dell’abitazione del presidente e del suo gruppo di sostegno.

Il primo allenatore che ebbe la Real Torrese fu, poi, quello che riuscì a formare una squadra la cui ossatura permise di continuare, partita dopo partita, praticamente senza perdere un incontro.

Enzo Avvisati, personaggio notissimo in città, era colui che fece della Real la sua migliore “creazione”.

Tantissime squadre aveva allenato il buon Enzo fino a questa esperienza e, caso piu’ unico che raro, ogni anno lasciava la squadra vincitrice del campionato orfana della sua guida, perché considerava il suo lavoro completato alla vittoria del campionato!

Sapeva il fatto suo su tutti i giocatori dilettantistici della zona, ragazzi che lo seguivano in tutte le sue indicazioni.

Uomini, insomma, di cui si fidava.

Allenamenti massacranti e durissimi sulla spiaggia del Mappatella, inverno ed estate, in mancanza della sede fissa.

Anche a livello di immagine, quell’anno, si fecero le cose per bene.

Tutto il materiale sportivo era di ottima fattura, finanche le scarpe da ginnastica e la tuta di rappresentanza.

Per ogni trasferta era previsto la fermata a pranzo prima dell’incontro, cosa assolutamente fuori dal comune per la categoria.  



Lorenzo Conò ottimo difensore, Michele Immobile portiere affidabilissimo, Luigi “Zacchiello” Monaco un marcatore d’altri tempi stile Gentile, Luigi Ilardi veloce ed agile ala con un sinistro possente, Oscar Annunziata, Mimmo Scognamiglio, Giovanni Ippolito, Peppe Bannera, il portiere di riserva Agostino Celoro che poi in seguito si ritagliò un suo ruolo, Peppe Faiella, Antonio Finzi esterno sinistro di cui ancora oggi mi chiedo come mai non abbia sfondato nel calcio professionistico, Pasquale Rima, Rosario Angrisano, Il sempre giovane Giovanni Guarro, che da lì a poco sarebbe diventato mio cognato, Crescenzo Cirillo ottimo attaccante brevilineo, Salvatore Sansone.

Questi i nomi della squadra fotografata in questa occasione sul campo dove disputava il campionato, quello della Deriver.  

Bellissima la divisa, costata parecchio alla società, ricordava i colori dell’Udinese Calcio ed era molto ben apprezzata.

Ricordo altri che si aggregarono poi nel corso dei mesi successivi.

Il forte difensore baffuto “Maruzziello”, il portiere Giulio, Sabatino Palmieri, Pasquale De Falco, e i due vigili urbani torresi Guido e Raffaele Angrisano.

Un altro torrese che ha giocato in quella squadra era il giovanissimo e riccioluto Fulvio Cirillo, ragazzo della “Provolera” che ci lasciato qualche anno fa e a cui ho voluto dedicare questo post.

Questa squadra disputò anche una amichevole con il Savoia, guidato all’epoca da Dante Portelli.

Al termine della partita, terminata 1 a 1, il mister del Savoia andò a complimentarsi con Mister Avvisati, incredulo che quella squadra di ragazzotti torresi che aveva fermato la squadra cittadina giocasse in Terza Categoria.

Aldilà dei risultati sul campo e dei campionati vinti, dei numerosi tornei di calcio organizzati in quegli anni (ricordiamo tra gli altri il torneo “Giuseppe Popolo” il piu’ seguito, organizzato assieme a Pasquale Arcella), per Enzo Avvisati quella testimonianza di Portelli rimane il ricordo piu’ bello della sua carriera e il giusto riconoscimento per il lavoro svolto a livello di giovani negli anni ottanta in una Torre Annunziata carica di problemi politici, sociali e civili.  

1968, 19 gennaio- Maria a' Sposa: ecco il documento della Chiesa che accusa!


“Il fanatico culto di “Maria la sposa” è idolatria, offende i principi morali della religione cattolica e pertanto non deve essere più praticato dai fedeli”!

Questo il significato di una notificazione ufficiale della curia, affissa nella giurisdizione della diocesi è particolarmente nel nostro comune, da dove la superstizione si è diffusa in tutta Italia e fuori, attraverso i canali dell'emigrazione stabile e di quella stagionale, nei vari paesi d'Europa.

Il testo del documento, datato da palazzo Donnaregina, residenza degli arcivescovi di Napoli, a firma del Cardinale Ursi e del cancelliere della curia, Mons.Pagano è del 30 dicembre 1967, ma solo nella giornata del 19 gennaio 1968 venne portato a conoscenza dell'opinione pubblica con un manifesto.



Leggiamo assieme il documento:

“Il tribunale ecclesiastico per le cause dei Santi di Napoli-

Premesso che la Chiesa ha sempre inculcato nei fedeli il dovere di innalzare a Dio preghiere e di offrire suffragi per i defunti “affinché vengono assolti dalle loro colpe”;

che Venera i loro resti mortali con candele, incenso, fiori, in occasione della sepoltura perché anche il corpo oltre che l'anima di cristiani, fu rigenerato alla vita divina nel battesimo e divenne membro del corpo di Cristo e fu continuamente santificato dai sacramenti;

che, per alcuni defunti, proclama l’eroicità delle loro virtù soprannaturali e, dopo i segni della loro glorificazione nel cielo- quali sono i miracoli attribuiti alle loro intercessione-, li eleva agli onori degli altari facendogli oggetto di culto pubblico e proponendoli ai fedeli come esempio di vita da imitare e come intercessori presso Dio, ai quali conviene rivolgersi per ottenere protezione e favori celesti;

che, con la stessa sollecitudine, proibisce di prestare il culto a resti mortali di persone ignote e combatte le manifestazioni aberranti.

Preso in attento esame le manifestazioni di culto che molti fedeli di Torre Annunziata rivolgono alla cosiddetta “Maria la sposa”;

considerato che lo scheletro nell'ipogeo della cappella comunale del cimitero di Torre Annunziata non è identificabile con alcuna persona storicamente esistita e conosciuta, di cui si possono esaminare le virtù soprannaturali in grado eroico;

come non sia assolutamente concepibile che Dio operi prodigi attraversi i resti mortali di persona sconosciuta, la quale non può essere proposta all’imitazione dei posteri;

che a norma delle leggi canoniche nessun culto pubblico può essere dato a chicchessia senza l'autorizzazione del Sommo Pontefice;

dichiara che le manifestazioni di culto rivolte allo scheletro rivestito da un velo di sposa nel cimitero di Torre Annunziata sono arbitrarie, superstiziose e pertanto inammissibili.”

Questo la prima parte del testo del documento fatto affiggere tramite manifesto in tutta Torre Annunziata.



Dopo questa decisione del tribunale ecclesiastico, firmata dai canonici della cattedrale, Mons. Salvatore De Angelis e dal giudice delegato Mons. Cinque, la notificazione procede.

Leggiamo insieme la seconda parte del testo:

“Corrado Ursi, Cardinale arcivescovo di Napoli, vista la dichiarazione del tribunale diocesano, decreta che non si può indirizzare alla persona sconosciuta cosiddetta “Maria la sposa”, altro culto di quello consentito per i resti mortali di tutti i fedeli defunti.

 I sacerdoti e tutte le altre persone responsabili si astengono da ogni atto che possa essere inteso come un favorire pseudo-manifestazioni di culto.”

Cha strana storia questa di Maria à sposa!

Lo scheletro di Maria non venne mai sottoposto a perizia.

Per assurdo, potrebbe anche essere quello di un uomo.

Giunse non si sa come e da dove nell’ossario del cimitero di Torre Annunziata, all’inizio del secondo dopoguerra.

Fu rivestito di un abito nunziale e gli furono attribuiti poteri miracolosi, anzi magici, tanto da essere custodito in un’urna di cristallo infrangibile, insegno di voto per “grazia ricevuta”, mentre giungevano continue offerte in denaro, monili e file di pellegrini.

 Nella notte tra il 13 e il 14 maggio 1965, ladri rimasti ignoti rubarono l'intero tesoro che, in pochi mesi, il fanatismo della folla donò in modo piu’ ampio di prima!

La decisione del Cardinale Ursi, nel quadro delle direttive del Concilio per riportare la fede alla sua spirituale purezza, naturalmente scontentò la maggior parte del popolo ormai affezionato a quell’immagine distesa nell’urna nella Cappella del nostro cimitero. 

sabato 12 gennaio 2019

1974, 14 gennaio. Ammalati per i medici ma abili per lo sciopero. Tutti denunciati alla Dalmine!


Settantanove comunicazioni giudiziarie vennero notificate ad altrettanti lavoratori della Dalmine, la fabbrica siderurgica di Torre Annunziata, dalla nona sezione del tribunale di Napoli.

Altre 36 comunicazioni giudiziarie vennero inviate a medici della zona, per tutti l'accusa era di truffa aggravata e falso aggravato e continuato.

I lavoratori ed i medici furono denunciati dai dirigenti della Dalmine alla magistratura In relazione ad una giornata di sciopero organizzata dai sindacati che si svolse nel novembre precedente.

Il giorno dopo lo sciopero, i lavoratori della fabbrica si presentarono con un certificato medico che giustificavo l'assenza del giorno prima e di fronte a questo fatto i dirigenti della Dalmine, senza perdere tempo, inoltrarono denunzia alla magistratura nei confronti degli operai che si erano presentati in fabbrica con i certificati e all’indirizzo dei medici che quei certificati avevano firmato.

Sulla vicenda si svolsero nei giorni successivi, all'interno della fabbrica, numerose riunioni tra i lavoratori e i rappresentanti provinciali della federazione lavoratori metalmeccanici.

Gli operai si mostrarono assai sorpresi dal provvedimento attuato dai dirigenti della Dalmine.

I rappresentanti della FLM tennero a sottolineare che lo sciopero è la più importante arma contrattuale di cui dispongono i lavoratori ed essa, dunque, deve essere usata in modo responsabile e difeso con coerenza. Non era dunque ammissibile che il giorno dopo una manifestazione sindacale i lavoratori si presentassero in fabbrica con un certificato medico che giustificasse una assenza che non aveva bisogno di scusanti.

 Molto duro, quindi, il giudizio del sindacato mentre in fabbrica continuarono le discussioni e non tutti gli operai vollero riconoscere lo sbaglio commesso, nonostante l’evidenza. ​

La clamorosa denuncia della Dalmine ebbe un vasto eco nella stampa nazionale e nell’opinione pubblica italiana che commentarono molto negativamente il comportamento dei lavoratori torresi.

1984, 18 gennaio. Roma piange il ritorno di Claudio, 42 anni dopo!


Si svolsero il 18 gennaio 1984 nella chiesa di San Lorenzo Fuori Le Mura i funerali dei due piloti e dei quattro avieri che componevano l’equipaggio dell’aereo “S79” precipitato l’11 novembre 1942 in Algeria.

Le sei salme, riportate in Italia dopo 41 anni di ricerche dei familiari, vennero tumulate presso il Sacrario dei caduti in volo dell’Aereonautica militare.

I sei componenti dell’equipaggio erano:

Il sottotenente Ramiro Angelucci, 28 anni, di Roma.

Il maresciallo Alberto Fedi, 38 anni, di Livorno.

L’aviere Guido Savio, di 29 anni, di Roverbella.

L’aviere scelto Claudio Flauto, di 21 anni, di Torre Annunziata.

L’aviere scelto Cesarino Rossi, di 19 anni, di Modena.

Il primo aviere Francesco Cupiraggi, di 24 anni, di Sambiase.




LA STORIA DELL’EQUIPAGGIO CADUTO IN ALGERIA IL 11 NOVEMBRE 1942:

Nel novembre 1942 gli alleati, sbarcati anche in Algeria, esercitavano in Africa Settentrionale una pressione sempre più forte da ovest che, unita a quella inglese dall’Egitto, stava avendo ormai la meglio sulle truppe dell’Asse. Solo l’Aeronautica riusciva ad alleviare la situazione con continui bombardamenti sulle linee nemiche e attacchi di aerosiluranti al naviglio alleato che le sosteneva e riforniva.

Ma i velivoli italiani operavano dalle basi oltremare, quindi non potevano essere onnipresenti. In questo clima febbrile e sfavorevole, l’11 novembre giunse notizia al 132° Gruppo dell’avvistamento, da parte di un ricognitore, di una squadra navale avversaria alla fonda nella baia di Bougie (Algeria).

Buscaglia diede subito disposizioni per l’attacco da condursi con quattro S.M.79 armati di siluro. Avrebbe egli stesso guidato la formazione. La sua tattica prevedeva una diversione in territorio tunisino, tra Tunisi e Biserta, in modo da piombare sulla baia di Bougie dall’entroterra sorprendendo le difese antiaeree.

“. Ogni pro ha un suo contrario: "Se passiamo di qui il radar ci scopre; se sorvoliamo questa località i francesi di Vichy possono dare l'allarme, non ci si può fidare della loro neutralità". Niente viene lasciato al caso, tutti i molteplici rischi vengono soppesati, la carta geografica va vista e rivista finché tutti quei nomi sconosciuti in francese gli diventano famigliari come una parte d'Italia.
La catena montagnosa dell'Atlas Tellien ha attirato più volte la sua attenzione, pensa e ripensa Buscaglia ha sciolto i suoi dubbi; sarà ancora una volta quella catena montuosa il suo alleato e gli permetterà la tattica giusta: sorprendere-colpire-fuggire.
Volerà basso in una delle sue profonde gole, protetto dall'ombra sarà invisibile ai radar e alle vedette quasi come in un volo notturno; dallo scuro arriverà inaspettato nella luce della baia di Bougie. Giù il siluro e via. Non alla fioca luce del crepuscolo, ma con il pieno sole affronterà la sfida e quella montagna gli darà l'aiuto sperato.
Ai veterani Faggioni e Graziani ha aggiunto il promettente Angelucci Ramiro, un giovane pieno di vita sempre pronto a rasserenare le lunghe serate con la sua splendida voce e la chitarra.
Gli amici rimasti a terra salutano con calore; come sempre prima di ogni missione hanno ricevuto in consegna lettere, orologi, anelli, le frasi di saluto sono sempre le stesse, ma stavolta le strette di mano più forti, gli abbracci prolungati ed i lineamenti rigidi parlano più delle parole: è una missione pericolosissima, solo una grossa fortuna li può aiutare e per la solita statistica degli aerosiluranti è quasi certo che qualcuno di loro ci lasci la pelle.
I quattro apparecchi decollano, un ultimo sbattere di ali e si avviano nella formazione a 4 dita: davanti Buscaglia gregario di sinistra Graziani, primo gregario di destra Faggioni, secondo gregario Angelucci.
Arrivati all'altezza dell'isola di La Galite accostano in direzione sud ed entrano nel territorio della Tunisia volando bassi sul terreno per sfuggire agli schermi radar.
Il tempo alla partenza ottimo va via via peggiorando ed un gran temporale investe gli aerei tra le montagne. È un volo per manici esperti ed Angelucci, il più giovane d'esperienza, stenta a tenersi in contatto. S'inoltrano nella gola delle Petite Cabilie in fila indiana, alla testa Buscaglia. Si pensava che la parte difficile si sarebbe limitata all'attacco, ma questo volo divenuto pazzesco è altrettanto rischioso: si sfiorano le pendici delle montagne, si affrontano i vuoti d'aria, la visibilità ridotta, i vortici. Ad un certo punto sembra di volare in un tunnel con le nubi scure che da un momento all'altro potrebbero abbassarsi e chiuderli per sempre in quella gola. Sull'apparecchio di Faggioni qualcuno comincia a brontolare: "Buscaglia è un pazzo, altro che Spitfire, qui ci ammazziamo da soli!". Come Dio vuole al termine della valle d'improvviso appare infinito e luminoso il mare. Gli aerei si sono affiancati sulla rada ed ammirano come dall'alto di un balcone; dietro di loro un buco tra le nuvole e le vette non più largo di 100 metri, a vedere da dove sono sbucati vengono i brividi. Il volo pazzesco è finito ma non sono che all'inizio, il "bello" deve ancora venire. La baia pullula di navi. Dice Graziani ne suo libro: "La baia di Bougie si presentò ai nostri occhi terrificante. Le navi erano tante, tante, tante". La contraerea tace, l'Atlas Tellien li ha aiutati, la sorpresa è dunque riuscita. Ancora una volta quel diavolo di Buscaglia ha visto giusto. Il Comandante esegue un'ampia virata a sinistra per entrare in rada. È proprio in quel momento che un caccia tedesco Me.110, vedendo i 4 apparecchi arrivare dalla parte della terra li crede nemici e picchia su di loro. È una maledizione! La sorpresa ha sorpreso anche l'aviatore tedesco. Graziani lo maledice: "Mangiacrauti di un Kartofen con tutti i casini che abbiamo ci mancavi pure tu! Non hai visto la gobba, i fasci, la croce di Savoia?!".
Quel subbuglio nel cielo mette in allarme le vedette delle armi americane, è allarme: ha inizio il fuoco contraereo. In pochi minuti una pattuglia di 8 Spitfire in sorveglianza picchia sugli SM.79: il primo a farne le spese è il fotografo di Buscaglia, Maiore ferito gravemente. I Gobbi Maledetti si mettono in pattuglia serrata e si difendono come possono da quegli armatissimi caccia. Buscaglia picchia a 50 metri sul mare e avanza con i suoi verso le navi. Quando vengono presi in consegna dal fuoco navale, gli Spit desistono dal loro attacco. In una compatta ed insolita formazione a cuneo gli SM.79 si preparano a sganciare il siluro in mare. Tutto filerebbe liscio se non ché una luce ed una esplosione più potente delle altre si sovrappone agli altri rumori: è l'aereo di Angelucci colpito in pieno dalla contraerea. Il suono assordante, i lampi accecanti delle vampate, gli occhi velati di lacrime per l'acre odore della cordite, la disperazione li ha ormai resi sordi al dolore, nessuno fa caso ad Angelucci.
Tre siluri vengono sganciati quasi in contemporanea contro le navi ancorate alle banchine del porto; i mercantili Awatea e Chatay affondano. Ma in questa pazza giornata un'altra difficoltà deve ancora aggiungersi per renderla ancora più pazzesca.
Dopo lo sgancio i nostri Assi non possono dileguarsi e scappare come le altre volte. Bougie è una prigione le cui mura sono i monti che la circondano; per trovare la porta d'uscita dall'inferno bisogna ripassare un'altra volta indietro sul fuoco delle navi, i monti a ridosso impediscono qualsiasi altra direzione.
Dietro front, bassi a non più di due metri dalla superficie del mare, gli SM.79 sfuggono come possono al fuoco navale, per fortuna il tiro degli americani alle prime esperienze non è preciso. Ora resta da superare ancora un ultimo girone dell'inferno, lo sbarramento dei caccia, e poi ne saranno fuori.
Gli Spitfire dall'alto si sono goduti tutto lo spettacolo, è arrivato per loro il momento di completare il lavoro interrotto. Inizia la picchiata, tre lenti antiquati trimotori sono nel loro mirino; l'attacco non sarà facile come presumono dentro quegli aerei ci sono Buscaglia, Faggioni e Graziani.
I nostri tre Assi volano talmente ravvicinati in formazione serrata da apparire un tutt'uno, il bersaglio per gli 8 Spitfire è grosso, ma vola talmente basso e loro così veloci che se non stanno ben attenti s'infilano dritti nel mare e lo schermo difensivo delle mitragliatrici dorsali crea un problema ancora peggiore.
Il punto debole dell'SM.79 è la coda, e gli inglesi lo sanno bene, a differenza dei loro bombardieri lo Sparviero non ha alcuna mitragliatrice di difesa in coda.
Radenti al mare gli Spit si avvicinano sempre di più alla zona morta, i piloti inglesi pregustano già la vittoria. Tra poco sotto le pesanti raffiche il Savoia Seventy Nine perderà via via i pezzi per esplodere in un globo di fuoco. Non pensano minimamente all'amara sorpresa che quei piloti italiani hanno in serbo per loro. Invece del tallone d'Achille un'arma invisibile è a guardia della loro coda. Infatti i nove motori Alfa 126 così ravvicinati si lasciano in scia una triplice incredibile turbolenza, ancora più micidiale per il volo a pelo d'acqua. All'improvviso gli Spit sono sballottati dal vortice, a quella velocità perdere qualche metro di quota è un attimo. Due caccia si infilano nel mare, gli altri, smarriti battono ritirata. I nostri SM.79 escono finalmente da quell'inferno.
Piano piano il respiro torna normale, il cuore ristabilisce i suoi battiti; come sempre succede al termine di un'azione la soddisfazione per lo scampato pericolo dovrebbe prendere il posto della paura, stavolta non è così, il terrore è stato tanto che non si può cancellare.
Non c'è più l'acre odore della cordite a far lacrimare gli occhi ma le lacrime scendono lo stesso: è la voce meravigliosa di Ramiro Angelucci quelle sue canzoni, quella sua chitarra che non ascolteranno più ma che ora odono distintamente a far piangere i loro cuori.
Faggioni è nero di rabbia; rivede questa missione suicida; più la esamina e più aumenta la sua collera. Buscaglia è un pazzo! Sperare nella sorpresa attaccando di giorno una base così munita! Angelucci è morto ma è un miracolo se non sono morti tutti! Sono vivi solo perchè hanno trovato gli inesperti americani; se ci fossero stati gli inglesi a dirigere il tiro contraereo con il Grand Barrage nessuno sarebbe tornato indietro.
Doveva tornare indietro quando si è reso conto che non c'era più la possibilità della sorpresa.
Queste riflessioni amare, arrivati all'atterraggio, svaniscono sempre; la vita deve riprendere con i soliti ritmi, non s'è trattato che di un incidente, presto tutto sarà dimenticato. Inoltre la tradizione militare impone un comportamento e se si vuole fare delle osservazioni c'è il chiuso dell'ufficio nel momento del rapporto, a nessuno passa per la testa di infrangere questi cardini della consuetudine militare. Gli aerei atterrano, in attesa c'è la solita folla trepidante.
Uno, due, tre, SM.79, manca un equipaggio, dai numeri stampati sulla fusoliera si fa presto a capire chi manca. Stavolta è toccata a Ramiro. In silenzio si accolgono i piloti, con sette compagni mancanti dopo una simile missione non c'è spazio per manifestazioni di vittoria.

L'equipaggio dell'SM.79 di Angelucci era il seguente: S.Ten. Pilota Ramiro Angelucci, M.llo Pilota Fedi Alberto, Primo Aviere Motorista Savio Guido, Primo Aviere Fotografo Cupiraggi Francesco, Aviere Allievo Armiere Flauto Claudio, Aviere Allievo Fotografo Rossi Cesare.





I Mitici Gobbi all'attacco di Bougie

Il novembre 1942, ore 17,40, aeroporto di Castelvetrano.

Tre aerosiluranti S.79 rientrano alla base al termine di una missione.

«Un velivolo non è tornato!».

La voce corre tra gli uomini della 278° e della 281° Squadriglia del 132° Gruppo autonomo aerosiluranti.

Poi si ha la conferma ufficiale.

L'impresa viene diligentemente verbalizzata alcuni giorni dopo, dall’allora capitano Giulio Cesare Graziani, comandante ad interim del Gruppo dopo l'improvvisa scomparsa di Carlo Emanuele Buscaglia (che avverrà il 12 novembre, cioè il giorno successivo).

I siluranti del Gruppo efficienti erano 16.

La missione bellica programmata riguardava due velivoli della 278° Squadriglia e due velivoli della 281°.

Compito: attaccare con siluro nella baia di Bougie un grosso convoglio nemico alla fonda, composto di 10 piroscafi e circa 15 unità di naviglio sottile da guerra.

Il verbale annotò poi il risultato.

«I velivoli si sono gettati decisamente attraverso il violento fuoco di sbarramento contraereo e hanno lanciato i siluri a distanza ravvicinata contro piroscafi di grosso tonnellaggio.

Un piroscafo è stato sicuramente colpito da siluro.

È stato notato un altro piroscafo avvolto di denso fumo nero che gli equipaggi non hanno potuto assicurare se sia stato provocato dallo scoppio del siluro.

Non si è potuto osservare il risultato degli altri siluri causa la violentissima reazione contraerea e gli attacchi della caccia nemica.

Durante la rotta di scampo la formazione è stata attaccata da velivoli da caccia tipo Hurricane. Durante l'attacco un velivolo della formazione è stato abbattuto in fiamme.

Tutti i velivoli sono rientrati colpiti dalla reazione a.a.».

Fin qui il verbale della missione che si concludeva con l'elenco dei membri dell'equipaggio abbattuto:

sottotenente pilota Ramiro Angelucci, nato a Ronta nel 1914;

maresciallo Alberto Fedi , nato a Livorno nel 1911);

primo aviere motorista Guido Savio, nato a Roverbella nel 1913;

primo aviere fotografo Francesco Cupiraggi, nato a Sambiase nel 1918;

aviere scelto armiere Claudio Flauto, nato a Torre Annunziata nel 1921;

aviere scelto fotografo Cesarino Rossi, nato a Modena nel 1923).

Il 18 gennaio 1984, a più di quarantuno anni dalla tragica missione, i resti dei sei uomini recuperati a Bougie, la città algerina che oggi viene chiamata Béjaia, e trasportati in Italia, sono stati tumulati nel corso di una cerimonia a Roma presso il Sacrario dei Caduti in volo dell'Aeronautica Militare a coronamento di un'opera di pace e di pietà alla quale hanno collaborato anche le autorità e i cittadini algerini.

Le ferite della Seconda Guerra Mondiale si riaprono dunque ancora oggi a più di quarant'anni.

Si riaprono le ferite e si riaprono le pagine di quella drammatica storia del novembre 1942, il mese che capovolse le sorti del conflitto.

La storia

Il 4 novembre a El Alamein i mezzi corazzati britannici raggiungevano il terreno aperto e iniziavano l'inseguimento delle restanti forze corazzate italo-tedesche in ritirata.

In quella stessa giornata Alexander poteva telegrafare a Churchill:

«Il fronte nemico è stato infranto».

Il 5 novembre l'inseguimento alleato venne accelerato.

Rommel fu costretto ad abbandonare Fuka e tre giorni dopo Marsa Matruh fu ripresa dagli anglo-americani.

Rapidamente la porzione di Egitto conquistata nella primavera del 1942 veniva persa.

Il ripiegamento del feldmaresciallo tedesco, ritenuto fino a quel momento invincibile, proseguiva irresistibilmente.

Nella notte tra il 7 e l'8 novembre, di sorpresa, scattava sulle coste marocchine e tunisine l'operazione Torch: la Task Force occidentale dell'americano Patton puntò su Casablanca, la Task Force centrale del britannico Fredenhall assalì Orano, la Task Force orientale del britannico Ryder piombò su Algeri.

Apparve subito evidente che l'operazione era riuscita in pieno.

Il maresciallo Pétain da Vichy ordinò alle truppe in Africa di contrastare l'invasione alleata, ma contemporaneamente un messaggio segreto venne inviato all'alto commissario ammiraglio François Darlan per lasciarlo libero, eventualmente, di trattare con gli Alleati.

Ciò puntualmente avvenne.

La Task Force orientale, consolidata la conquista di Algeri, penetrò per via di terra verso Costantina e verso l'aeroporto di Bosura, mentre per via di mare veniva conquistata Bougie (11 novembre) e truppe aerotrasportate catturavano il presidio di Bona (12 novembre).

I tedeschi, colti di sorpresa, corsero subito ai ripari e il 9 novembre iniziarono l'invio di truppe aerotrasportate che presero terra negli aeroporti di Sidi Ahmed e di Tindja (presso Biserta) e di El Aouina (presso Tunisi).

Il giorno seguente consolidavano la loro testa di ponte a una trentina di chilometri da Biserta e Tunisi.

Più o meno su questa linea si sarebbe stabilito il fronte di battaglia fra i tedeschi e gli uomini del 5° Corpo britannico, mentre altre truppe tedesche venivano sbarcate nel sud della Tunisia a Sfax e Gabes per costituire una barriera entro la quale accogliere le forze di Rommel ripieganti dall'Egitto e impedire quindi il ricongiungimento alleato nel Nordafrica.

L'aviazione dell’Asse giocò un ruolo importante in quei giorni di novembre anche se non riuscì a impedire il successo dell’operazione Torch.

La ricognizione italo-tedesca aveva già avvistato il convoglio della Task Force orientale di Ryder che puntava su Algeri nel corso della giornata del 7 novembre, ma si ritenne che si trattasse del solito convoglio (anche se di consistenza inusitata) diretto a Malta.

Mentre la Luftwaffe e l'Aeronautica italiana disponevano per il trasferimento delle squadriglie negli aeroporti sardi e siciliani, le azioni offensive dell’Asse iniziarono.

Aerosiluranti del 105° Gruppo attaccarono il convoglio al largo di Algeri già nella serata dell'8 novembre, ma il buio vanificò la missione.

Andarono all'attacco anche sei aerosiluranti del 130° Gruppo che presero di mira un incrociatore e quattro piroscafi; un aereo fu danneggiato dalla contraerea.

Entrò anche in azione il 132° Gruppo del maggiore Carlo Emanuele Buscaglia con aerosiluranti della 278° e della 281° Squadriglia che nei giorni seguenti venne trasferito da Pantelleria (dove era schierato all'inizio dell'operazione Torch) a Castelvetrano (Trapani).

La prima missione del Gruppo avvenne 18 novembre non appena giunsero le notizie degli sbarchi alleati ad Algeri.

Decollarono alle 15,15 dodici «Gobbi», sei della 278° e sei della 281° Squadriglia: era la prima grande sortita dopo le missioni dell'agosto precedente.

Ma il buio sopraggiunse presto e, a poca distanza dagli obiettivi, Buscaglia decise che non era il caso di proseguire e diede ordine di rientrare.

L'atterraggio avvenne a notte ormai fatta, alle 20,30.

Il 9 e il 10 novembre furono trascorsi nei preparativi e nell'attuazione di variazioni dello schieramento tra Pantelleria e Castelvetrano.

Nel frattempo la flotta davanti ad Algeri subì l'attacco della 283° e della 280° Squadriglia.

Il mattino dell’11 novembre giunse notizia a Castelvetrano che nella baia di Bougie si trovava, per lo sbarco, un convoglio composto di dieci piroscafi e una quindicina di unità da guerra minori.

Giunse anche l'ordine a Buscaglia di andare all'attacco.

Graziani, attraverso Romagna Maloja, cosi ha rievocato le disposizioni impartite da Buscaglia quella mattina:

«Il nostro obiettivo è Bougie. La baia pullula di navi da guerra e da carico.

Noi dobbiamo preferibilmente attaccare le navi attraccate ai moli.

Attaccheremo perciò da sud, tenendo ci possibilmente nelle gole dei monti per sfuggire ai radar e per sorprendere la difesa antiaerea.

Vengono con me: Graziani, Faggioni e Angelucci.

Gli altri, pronti per le prossime azioni».

L'equipaggio dell'S.79 di Buscaglia comprendeva il sergente maggiore pilota Francesco Sogliuzzo, il maresciallo marconista Edmondo Balestri, l'aviere motorista Vittorio Vercesi, l'aviere armiere Walter Vecchiarelli e l'aviere scelto pilota Francesco Maiore. Con il capitano Giulio Cesare Graziani volavano il sergente maggiore pilota Mario Trombetti, l'aviere motorista Luigi Tamburini, il sergente marconista Renzo Casellato, l'aviere armiere Pietro Giannandrea e l'aviere allievo fotografo Athos Pasquesi.

Con il tenente pilota Carlo Faggioni volavano il sergente maggiore pilota Armando Borghi, il sergente maggiore motorista Ideale Facca, l'aviere marconista Giovanni Capaldi, l'aviere armiere Italo Gianni e l'aviere scelto fotografo Ugo Vascellari.

Il quarto S.79 era comandato dal sottotenente pilota Angelucci con Fedi, Savio, Cupiraggi, Flauto e Rossi.

Quel giorno il cielo era sereno con ottima visibilità.

Per realizzare, nonostante tutto, la sorpresa, decollati alle ore 11,50, i quattro «Gobbi», secondo quanto aveva anticipato Buscaglia, penetrarono in territorio tunisino fra Tunisi e Biserta; si portarono a una ventina di chilometri dalla costa e di qui diressero verso l'obiettivo, entrando in territorio algerino e giungendo alle spalle del porto passando su Setif.

Alle ore 14,50 circa gli S.79 stavano per fare la loro apparizione nel golfo di Bougie ma, proprio in quel momento, i «Gobbi» vennero intercettati da sette Spitfire V.

La sorpresa veniva a mancare, ma Buscaglia decise di andare avanti.

A Bougie, in effetti, gli Alleati avevano stabilito una ferrea sorveglianza del cielo perché gli sbarchi erano ancora in corso: nella mattinata il compito era andato agli aerei dell’Argus, dell'Avenger e della Formidable che avevano portato la loro sorveglianza agli estremi eccessi abbattendo per errore un velivolo britannico da ricognizione proveniente da Gibilterra.

Nel pomeriggio la sorveglianza del cielo era passata agli aerei della RAF che avevano dovuto contrastare l'attacco di cinque Ju.88 tedeschi.

I sette «Spit», che appartenevano all'81° Squadron, piombarono sui «Gobbi» italiani riuscendo a mettere a segno alcuni colpi che danneggiarono gli S.79 senza tuttavia comprometterne la tenuta di volo.

Venne colpito anche l'aereo di Buscaglia e il suo fotografo Maiore rimase ferito a un braccio. Terminato l'attacco degli Spitfire, gli S.79 erano intanto entrati nel golfo, iniziò il martellamento della contraerea alleata navale e di quella terrestre.

Come ha raccontato Graziani, nella baia «c'erano incrociatori, cacciatorpediniere, torpediniere che incrociavano veloci alla ricerca di eventuali sommergibili nemici in agguato.

Noi dovevamo attaccare i piroscafi attraccati alla banchina.

Volammo sulle unità da guerra a 50-60 metri.

Ho visto centinaia e migliaia di bocche di armi sputare fuoco verso di noi.

La formazione avanzò in mezzo all'intreccio micidiale dei proiettili.

Si percepivano colpi metallici dei proiettili e delle schegge delle granate che urtavano contro le pale delle eliche o sul rivestimento in lamierino del velivolo.

I velivoli stessi rimbalzavano o sbandavano per effetto dello scoppio delle granate delle artiglierie contraeree.

Era difficile pure mantenere le posizioni di pattuglia»,

Buscaglia si buttò in picchiata per portarsi alla quota di sgancio e nello stesso tempo virò a sinistra per attaccare da est verso ovest, dalla baia verso il molo.

La formazione dei «Gobbi» era ancora compatta perché si era stretta per meglio difendersi dalla caccia.

Improvvisamente il velivolo di Angelucci venne colpito in pieno:

«Lo vidi esplodere in pezzi», ricorda Graziani. «Fu la visione di una frazione di secondo!».

Gli occhi dei tre comandanti superstiti si concentrarono sull'attacco.

Buscaglia sganciò il siluro per primo, poi fu la volta di Graziani, infine quella di Faggioni.

Un denso fumo nero avvolse almeno due piroscafi: si trattava dell’Avatea e del Chatay la cui perdita fu ammessa dagli Alleati.

I tre aerei furono costretti a compiere un'improvvisa virata prima della collina che sovrastava Bougie, scegliendo forzatamente una rotta di scampo che li costrinse a riattraversare in senso inverso la baia, esponendosi nuovamente al tiro della contraerea.

«Mi trovai» ha scritto Graziani «a essere all'interno della formazione in acrobatica evoluzione. Vidi sopra di me i velivoli di Buscaglia e di Faggioni che, al vertice della virata in cabrata, scomparvero alla mia vista perché con una manovra di scivolata d'ala passarono sotto di me e si portarono all'esterno della virata. Non avevo più fiato per respirare. In quel momento temetti di venire in collisione con loro perché scomparsi alla mia vista. Quando li rividi sulla mia sinistra, mi rassicurai.

A volo radente lungo la spiaggia della baia, con l'ala del mio velivolo che sfiorava gli spigoli dell'alta costa, uscimmo da quell'uragano di fuoco, sul mare aperto».

Ma le vicissitudini dei tre «Gobbi» non erano ancora terminate, perché gli Spitfire li ripresero in consegna, fortunatamente senza conseguenze.

Il rientro alla base di Castelvetrano, come si è già detto, avvenne alle 17,40.

Fu dopo l'atterraggio che lo choc della perdita di Angelucci e del suo equipaggio piombò come una cappa sui superstiti.

Faggioni, stressato al massimo, si lamentò con Buscaglia che era stata una follia «sfidare una piazzaforte in pieno giorno così in profondità e senza nessuna scorta».

Ma il mattino seguente, 12 novembre, gli uomini del 132° Gruppo Autonomo Aerosiluranti erano di nuovo all'attacco per una drammatica giornata che avrebbe visto l'abbattimento di Buscaglia, il non ritorno alla base dell'asso e la convinzione della sua morte con annuncio ufficiale nel bollettino di guerra numero 901 e concessione della medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Il nuovo attacco al porto di Bougie venne compiuto da sei S.79. Buscaglia volle con sé Aichner, Bargagna, Marini, Moci e Pfister e nel suo equipaggio volle essere presente anche il fotografo Maiore al quale i medici avevano consigliato invece di rimanere a riposo.

Il percorso di avvicinamento a Bougie fu più o meno lo stesso del giorno precedente, anche se Buscaglia volle percorrere nell'ultima fase una variante per poter ottenere la sorpresa.

I sei siluranti italiani riuscirono nell'intento ma, proprio mentre si gettavano nel golfo, a una distanza di circa cinque chilometri dall'obiettivo, vennero nuovamente attaccati dai sempre vigili Spitfire britannici.

«Sul suo apparecchio» ha scritto Martino Aichner nel suo prezioso volume Storia degli aerosiluranti italiani e del gruppo Buscaglia «si sviluppò subito un incendio e certamente qualcuno dell'equipaggio fu ferito; noi abbiamo ancora negli occhi e nell'animo l'immagine di quell'aeroplano che tira diritto con la scia di fumo che diventa sempre più grossa.

Quando, entrati nel campo delle mitragliere navali, la caccia ci mollò, speravo ancora che l'equipaggio di Buscaglia ce l'avrebbe fatta a domare l'incendio.

Ma proprio nel momento in cui sorvolavamo un caccia torpediniere, l’S.79 del comandante incassò altri colpi e la scia di fumo si fece più densa.

Benché mortalmente colpito Buscaglia superò senza esitazione l'anello di fuoco delle navi da guerra, diresse contro un grosso piroscafo alla fonda e sganciò mentre l'incendio divampava a bordo. Il velivolo scese come per un ammaraggio verso la parte occidentale del golfo; quando toccò l'acqua esplose e la benzina in fiamme si sparse sul mare».

Ma che cosa era successo il giorno prima all'aereo di Ramiro Angelucci dopo essere stato colpito dalla contraerea?

È a partire da questo punto che inizia un'altra storia di guerra che è proseguita fino ai nostri giorni.

L'S.79 della 278° Squadriglia fu visto esplodere in volo o precipitare, si ritenne in mare.

Da terra l'accaduto fu seguito da due testimoni, oggi anziani, ed è stato cosi ricostruito.

Il «Gobbo» di Angelucci sarebbe stato colpito dal caccia britannico Monitor dopo aver sganciato il suo siluro e mentre si dirigeva verso il molo.

Non esplose in volo ma ebbe certamente un grave incendio a bordo.

Superato il porto e la cittadina di Bougie, l'aereo avrebbe compiuto una virata a sinistra di 360 gradi, forse in cerca di uno spiazzo di terreno adatto a un atterraggio di emergenza.

Nel tentativo, sorvolando un'altura prospiciente la cittadina, avrebbe urtato con la sua ala sinistra contro i rami di un ulivo, precipitando contro il terreno e andando in pezzi.

L'esplosione finale era da attribuirsi ai serbatoi di benzina.

Estintosi il piccolo incendio, i testimoni oculari della caduta raggiunsero la zona e constatarono che cinque membri dell'equipaggio erano stati proiettati fuori dalla carcassa dell'aereo mentre il sesto vi era rimasto imprigionato.

Tutti erano straziati dall'esplosione.

Dopo una ricognizione sul posto di alcuni soldati britannici, che tolsero le piastrine di riconoscimento ai corpi dei piloti, gli abitanti del luogo provvidero alla sepoltura.

Nelle vicinanze si ergevano la fattoria di un colono francese di nome Roussel e la fornace di proprietà di un certo Aliprandi, italiano.

Fu costui che forni un mucchio di tavelloni forati di cotto con i quali furono preparate le tombe. Proprio sotto gli ulivi vennero scavate tre fosse orientate su est-ovest, come prescritto dal Corano.

In ogni tomba furono composti due corpi, con la testa rivolta una a occidente e una a oriente: Una fila di tavelloni completò le tre tombe coperte di terra e rese riconoscibili grazie a tre grosse pietre.

L'iniziativa per la ricerca dei corpi dell'equipaggio dell'S.79 partì da un fratello di Francesco Cupiraggi, fotografo a bordo dell'aereo di Angelucci.

Questi, trovandosi per ragioni di lavoro in Algeria, riuscì a raccogliere testimonianze secondo le quali alcune persone avevano visto precipitare l'11 novembre 1942 (erano già passati trent'anni) un aereo italiano e avevano provveduto alla sepoltura dei piloti.

Le indagini in luogo iniziarono a cura del capitano di vascello Roberto Del Toro che, assegnato ad Algeri, capitale della nazione algerina divenuta indipendente, si recò a Bougie (che aveva mutato il suo nome in Béjaia) e assodò che la possibilità di recuperare i corpi dei sei aviatori era concreta.

Le autorità algerine si dichiararono disposte ad approfondire la ricerca che ebbe il successo sperato.

Le tombe furono individuate e nella zona circostante venne recuperato anche un vecchio motore di aeroplano a pezzi, riconosciuto come appartenente all'S.79.

Esattamente 41 anni dopo la tragica giornata del novembre 1942, è avvenuto il recupero dei resti di Angelucci, Fedi, Savio, Cupiraggi, Flauto e Rossi.

Il 13 novembre dello scorso anno, infatti, atterrava ad Algeri un G. 222 della 46° Aerobrigata che portava a bordo una delegazione italiana composta dal generale di Squadra Aerea Giuseppe Pesce, dal colonnello di Fanteria Carlo De Simoni, dal tenente colonnello pilota Tiziano Boccagni, dal tenente di Fanteria Giulio Serafini e dal maresciallo fotografo Luigi Pascale.

Lo stesso aereo il mattino seguente (dopo l'incontro con il capitano di vascello Del Toro e con l'ambasciatore italiano ad Algeri e una cerimonia con le autorità algerine) atterrava a Béjaia.

Le operazioni di recupero si svolsero il 15 novembre: mentre alcuni operai provvedevano allo scavo per riportare alla luce le tre tombe, alcuni membri della delegazione italiana rintracciavano nella zona, parzialmente sepolti dal terriccio, tre motori Alfa 125.

Uno dei motori segnava il punto preciso nel quale l'aereo era precipitato a terra ed esploso.

La pietosa opera di recupero dei resti dei sei aviatori venne portata a termine nel pomeriggio: le ossa furono sistemate in sei cassette di lamiera.

I sei uomini dell'S.79 Sono così rientrati in Italia, seguiti anche da uno dei motori e da alcune altre parti del relitto, che sono finiti al museo di Vigna di Valle (Roma).

Il 18 gennaio 1984 una solenne cerimonia religiosa-militare, svoltasi nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma, vedeva la tumulazione dei resti dell'equipaggio dell'S.79 di Angelucci.

I sei uomini riposavano finalmente in pace nella terra per la quale avevano combattuto ed erano morti.

Quarantun anni dopo l'11 novembre 1942 si poteva dire che anche l'S.79 della 278° Squadriglia del 132° Gruppo autonomo aerosilurante era infine rientrato alla base.



Storia illustrata, maggio 1984


                                                                  FLAUTO Claudio   
                  Aviere Scelto Armiere, nato a Torre Annunziata il 3 gennaio1921, abbattuto l’11 novembre 1942 nel cielo di Bougie (Algeria) durante un’azione bellica. 
                1 Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria;
                                                   Croce al Merito di Guerra .


giovedì 10 gennaio 2019

1978, 11 gennaio. Tra gli ultimi ad arrendersi, Andrea Racconto.


Foto di Giuseppe Crescitelli

E quel giorno di quarant’anni fa si arrese anche il pastificio Racconto!

Cinquanta operai ricevettero la lettera di licenziamento mentre l’azienda chiuse immediatamente i battenti.

I lavoratori si riunirono all’interno dello stabilimento contestando il provvedimento e rivendicarono la salvaguardia del posto di lavoro.

La chiusura del pastificio Racconto fu un duro colpo per l’intera economia torrese dove un tempo l’arte bianca era una delle attività produttive piu’ fiorenti.

Nella stessa serata venne convocato il consiglio di fabbrica, mentre il sindacato provinciale degli alimentaristi diffuse un comunicato in cui si sosteneva che gli operai erano da quattro mesi in lotta per il rilancio produttivo del pastificio e non avevano ottenuto garanzie né dal proprietario, né dall’amministrazione comunale e neanche dal prefetto per la sopravvivenza dell’azienda.

Le accuse maggiori vennero rivolte alla prefettura rea di aver assunto atteggiamenti provocatori nei confronti dei lavoratori non mantenendo gli impegni precedentemente concordati.

Il documento concludeva con un appello alla cittadinanza a solidarizzare con i cinquanta operai e a far proprie le indicazioni dei sindacati per la salvezza dell’azienda.

Un anno e mezzo dopo Andrea Racconto riuscì a compiere il miracolo.

Furono necessari sacrifici incredibili per cercare di recuperare la clientela che, in verità, era sempre rimasta in contatto con don Andrea.

Soprattutto quella internazionale servì da pilastro per la  ripartenza.

L’incontro piu’ importante con i sindacati.

Don Andrea Racconto riesce a convincerli del suo piano di rilancio, col sacrificio di almeno in cinquanta per cento di decurtazione di manodopera.

Era la soluzione piu’ ovvia che poteva inventarsi, ma anche la piu’ difficile, non avrebbe mai voluto lasciare a casa i suoi operai. 
I sindacati accettarono.

In quella affollata conferenza di fine maggio 1979 confidò grande convinzione della qualità della sua pasta che, lavorata da una macchina francese capace di produrne duecento quintali al giorno, conquistò i presenti, tra cui i rappresentanti delle associazioni commerciali.

Ebbe coraggio don Andrea in questa nuova sfida, qui a Torre Annunziata, in questa città in cui tutto chiudeva e tanti scappavano, lontano dalla guerra di camorra, dalle estorsioni.

Investì tutto quello che aveva in questo nuovo progetto.

Dal giorno della chiusura non aveva pensato ad altro se non come ripartire.

In quel maggio del 1979 aveva ridato una nuova speranza a tanti lavoratori, uno stipendio, un sogno di “vita” normale.

Solo per questo gesto andrebbe ricordato e ringraziato.

Andrea Racconto, un sognatore.

Grazie di cuore a Giuseppe Crescitelli per le informazioni e la collaborazione fornita per la realizzazione di questo post. 



martedì 8 gennaio 2019

1987, 10 gennaio. Chiedevano lavoro, trovarono la galera!


Ancora una manifestazione, un corteo, una richiesta di ascolto da parte delle autorità per intervenire in quel problema che ha causato il disfacimento dell'intero meridione, sia a livello di singoli che come disgregazione delle famiglie: il lavoro.
Venti disoccupati vennero arrestati quel giorno ed altri ventuno furono denunciati a piede libero al termine di una manifestazione per il lavoro piu’ turbolenta del solito.

Il gruppo dei senza lavoro, complessivamente una settantina, aveva chiesto di parlare con il sindaco, Salvatore Capasso, a capo di una giunta pentapartitica.
In attesa dell'incontro alcune decine di loro, dopo essersi allontanati dal Municipio, bloccarono il centralissimo corso Vittorio Emanuele.

Prontamente, come sempre in questi casi a quei tempi,  intervenne la forza pubblica per mettere fine alla manifestazione pacifica dei ragazzi torresi.

I disoccupati appartenevano ad una delle tante liste di lotta organizzate nella città.

Gli arrestati vennero processati per direttissima dopo qualche giorno dal pretore di Torre Annunziata.

domenica 6 gennaio 2019

1968, 13 gennaio- Luigi Lettieri, il sindaco che divise la politica italiana.


Ultimo giorno da sindaco di Torre Annunziata per il prof. Luigi Lettieri.

Furono ben nove anni complessivi che Lettieri rimase in carica, racchiusi in tre mandati che spaziano dal quello storico 10 agosto 1957 al 13 gennaio 1968, ultimo giorno appunto da sindaco.

Complessivamente uno tra i piu’ longevi alla testa del governo cittadino.

La figura del prof. Lettieri iniziò la sua ascesa in modo molto rumorosa quando, nell’agosto del 1957 il suo nome riuscì ad unire i socialisti e i democristiani, beffando i comunisti con cui  governavano Torre Annunziata già da dieci anni.

Era l’effetto della linea Fanfani che aprì a sinistra ai socialisti che, in quella occasione, non si fecero pregare due volte nell’abbandonare la strada maestra.

Clamorosi furono le ripercussioni e le polemiche all’epoca, con roventi dichiarazioni tra gli opposti giornali di partito e i rappresentanti politici.

Luigi Lettieri fu l’espressione di questo primo matrimonio a centro sinistra.

I suoi mandati andarono dal 1957 al 1961, poi dal 1962 al 1964, e ancora dal 1965 al 1968.

Tra le varie problematiche affrontate nel corso dei mandati, la disoccupazione e i problemi dell’Ilva furono sicuramenti i principali crucci su cui dovette misurarsi.

Giovanni Quartuccio venne nominato sindaco il 14 gennaio 1968, il quale dopo due anni dovette lasciare il testimone a Luigi Matrone, il sindaco comunista che restò in carica per cinque anni.  
LUIGI LETTIERI


sabato 5 gennaio 2019

1890, 7 gennaio. Giuseppe Formisano, tra Bartolo Longo e il Santuario di Pompei.


Giuseppe Luigi Pasquale, questo i nomi che vennero scelti dai genitori del futuro Vescovo di Nola.
Figlio di Francesco Formisano e di Grazia Maria Carotenuto, Giuseppe Formisano nacque a Torre Annunziata il 16 aprile 1811.
Il padre era un negoziante pastafinaro e alla nascita di Giuseppe aveva ventisei anni mentre la signora Grazia di anni ne aveva appena venti.
Abitavano nella strada Regia, alla Porta di Napoli, al pian terreno nella casa del signor Luigi Prisco.
Ben presto Giuseppe manifestò la sua inclinazione speciale alla scuola, alla fede e alla preghiera.
Per illustrarne le gesta in campo ecclesiastico ho ritenuto opportuno inserire lo scritto tratto dal libro di Antonio Ferrara e Angelandrea Casale.








"Mons. Giuseppe Formisano nacque a Torre Annunziata il 16 aprile 1811.

Era parroco della chiesa dell’Ospedaletto a Napoli quando fu nominato Vescovo di Nola il 16 maggio 1855 e consacrato il successivo 7 ottobre.

Fu un uomo di vasta cultura e scrisse molte opere sia in campo morale che teologico.

Fece costruire l’attuale cappella del Seminario, perché la precedente era troppo piccola. Dal 1860 al 1866 stette in esilio a Torre Annunziata.

Durante questi 6 anni il palazzo vescovile fu occupato dai Garibaldini e dai Piemontesi, per cui la Curia vescovile funzionò a casa del vicario mons. Angelo Velotti, che abitava a Nola in via dei Fossi.

Durante questo periodo, nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 1861, la cattedrale fu distrutta da un incendio doloso, da attribuire probabilmente a gruppi anticlericali.

Mons. Formisano fu anche consigliere di Bartolo Longo che, quando progettò di costruire il Santuario di Pompei, si recò da lui per chiedere consiglio e Formisano gli indicò il luogo dove costruire il Santuario.

Mons. Formisano pose la prima pietra del Tempio, che fu benedetta l’8 maggio 1876, ma l’opera non fu completata durante il suo Episcopato in quanto morì il 7 gennaio 1890 a Torre Annunziata.

Il suo corpo fu sepolto a Nola, poi fu portato a Torre Annunziata; successivamente fu sepolto, insieme a Bartolo Longo nella cripta del Pontificio Santuario di Pompei, a seguito della delibera n. 6 del 10 luglio 1966 dell’Arciconfraternita di Santa Maria del Suffragio di Torre Annunziata riguardante il trasferimento dei resti mortali di Mons. Giuseppe Formisano da Torre Annunziata a Pompei."

Tratto dal libro:
I prelati del Pontificio Santuario di Pompei dal 1890 al 2012.

Di Antonio Ferrara, Angelandrea Casale

Don Luigi Bellomo, il cuore del tifo torrese.

*Un tributo a Luigi Bellomo:  il cuore del tifo torrese* Torre Annunziata perse uno dei suoi pilastri sportivi e cittadini con la scomparsa ...