ACCADDE IL …
Domenico Bertone era a capo di una giunta di sinistra nel
1981, poi con una coalizione di pentapartito dall’83 all’85.
Solo allora decise di lasciare la poltrona di sindaco per
sedersi su quella piu’ importante di assessore provinciale all’edilizia
scolastica.
Nonostante questo salto in alto, continuava a manovrare e gestire
a piacimento la vita amministrativa torrese tramite i suoi uomini di fiducia.
Le accuse del giudice Paolo Mancuso, che ordinò il suo
arresto, rasentavano l’incredibile: duemila delibere approvate senza convocare
il consiglio comunale, il novanta per cento degli appalti pubblici concessi con
trattativa privata.
Pesantissimi i capi d’accusa nei confronti di Domenico
Bertone: concorso in peculato, corruzione e interessi privati in atti d’ufficio.
Centinaia di milioni elargiti a ditte che neanche iniziarono
a fare i lavori previsti.
Rifacimento del manto d’asfalto in vicoli e piazze,
cinquecento milioni.
Altri duecento milioni per lo spurgo delle fogne.
Nessun settore restò immune da quell’ondata di soldi facili,
spartiti tra amici e compari.
"Don Mimì" Bertone non fu il solo ad essere arrestato quella
mattina.
Lo seguirono in cella altri cinque personaggi, funzionari
dell’ufficio tecnico e titolari di imprese.
Miliardi sperperati come noccioline in barba alle piu’
elementari logiche di decenza, senza che nessuno di questi lavori,
profumatamente pagati, venisse eseguito.
Tutto queste accuse in solo quattro anni, tra il 1981 e il 1985.
Anni d’oro per "Don Mimì" e compagnia, probabilmente il
periodo in cui Torre Annunziata raggiunse il punto piu’ basso della sua
gloriosa storia, a livello finanziario, d’immagine e di sconcio morale.
Forse, se siamo ridotti in queste condizioni ancora
oggi, a distanza di tanti anni, dobbiamo “ringraziare” quella classe dirigente
politica che seppe integrarsi perfettamente con la malavita locale, come
appurarono i magistrati, lasciandoci in eredità soltanto terra bruciata.
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