A prima vista era sembrata una notizia come tante altre che,
purtroppo, avevo già avuto modo di leggere in tante occasioni.
Era il 1969, e dal mio archivio per la notizia del giorno,
guardavo quelle con la data del 5 maggio.
La notizia, interessante, era quella di uno sciopero
generale in città dove, durante la manifestazione, un gruppo di persone aveva
preso di mira un negozio di alimentari che non aveva abbassato la serranda in
segno di solidarietà con i manifestanti. La reazione fu quella di aggredire la
ragazza che si trovava davanti al negozio del padre, Lucia Carotenuto di 20
anni, la quale riportò diverse contusioni riscontrate dopo che venne
trasportata all’ospedale.
Sembrava finita così.
Invece no.
Volli approfondire la notizia e capire per quale motivo si
era svolto quello sciopero.
Ripescai i giornali cittadini dell’epoca e risalì ad una
serie di informazioni che mi risultarono molto importanti per inquadrare il
contesto di allora.
Partiamo dall’inizio.
Lo sciopero venne organizzato dai sindacati unitari, con
l’appoggio di tutta la classe politica torrese, per impedire al pastificio “Alfonso
Monsurrò” di procedere nelle sue intenzioni di trasferire l’attività lavorativa
presso Marcianise, licenziando in tronco i suoi ottanta dipendenti.
Imponente la sfilata di cittadini, operai e disoccupati,
accompagnati in questa speciale occasione di protesta dagli studenti della
Marconi, con a capo i presidi Gallo e Cosentino. La partecipazione scolastica
andava oltre la semplice notizia giornalistica, voleva dire che anche la nuova
generazione era consapevole, e ne prendeva atto, del pericolo derivante dal
trasferimento delle attività produttive verso altri lidi.
L’intera giunta comunale, con il sindaco Giovanni Quartuccio
in testa, era presente e attivamente partecipe.
Pellegrino, Lucibelli, Testa, Vitiello, Mastellone, Matrone,
Guarriera, Dentino, Di Paola, Verdezza, Cangiano, Telese, Esposito, Afflitto,
La Rocca, ecc…, non fecero mancare la loro presenza.
Cosi come il senatore Angelo Abenante, il vice presidente
della Provincia Porcelli, il segretario del PSI, Carlucci, l’on. Caldoro, il
segretario del PCI Guida, e tanti altri.
Altrettanto numerosi i sindacalisti che presero la parola in
piazza Cesaro, riempita di persone in modo massiccio.
La clamorosa manifestazione ebbe il risultato di favorire gli
incontri ad alto livello.
La “questione Monsurrò” venne trasmessa nelle sedi
istituzionali e rapportata alla Camera grazie all’interessamento dei
rappresentanti eletti nella nostra regione.
Il risultato di incontri, riunioni e telefonate, raggiunse
il suo epilogo il 9 maggio, quattro giorni dopo lo sciopero.
Presso la Prefettura di Napoli si incontrarono le parti: il
Comm. Felicio Monsurrò da una parte, e i rappresentanti della C.G.I.L.,
C.I.S.L., e U.I.L., con la presenza del sindaco di Torre Annunziata.
Dopo la lunga discussione si giunse ad un accordo, che
potremo sintetizzare così:
1)
Il pastificio avrebbe continuato l’attività
ancora per tre mesi a Torre Annunziata.
2)
Alla scadenza dei tre mesi, si sarebbe proceduto
al licenziamento degli ottanta operai ma almeno venti sarebbero stati inseriti
dalla nuova società che avrebbe attivato le assunzioni presso Marcianise.
3)
Per la restante parte di operai, circa sessanta,
si sarebbe messo in moto il meccanismo di inserimento in altre aziende,
alimentari e non, anche presso comuni limitrofi, previo corso di
riqualificazione, sotto la supervisione degli organi della Prefettura e del
Ministero del Lavoro.
4)
Corrispettivi di una gratifica economica per le
dimissioni volontarie che si sarebbe aggiunta alla liquidazione.
Questo il risultato che si riuscì a raggiungere.
Alla fine, dopo tanto clamore, venne mantenuto il lavoro per
un buon numero di operai.
Ma a che prezzo?
Il tracollo andava avanti.
Questa occasione poteva rappresentare un punto di svolta per
evitare il declino e la definitiva chiusura dell’arte bianca a Torre
Annunziata.
Si fece tutto il possibile per evitare questa debacle, o si
poteva fare di piu’ e meglio?
Possibile che non c’era altra soluzione per fare ripartire
le aziende in difficoltà presso il nostro territorio, nella nostra terra, nel
luogo dove queste erano nate, anziché farle desistere e iniziare, anche per
loro, un’opera di trasferimento presso altri posti, a pochi chilometri da Torre
Annunziata, sicuramente con altre insidie?
Questa è la grande domanda che rimarrà senza risposta anche
per le nuove generazioni.
E questa la grande scommessa che perse Torre Annunziata,
politica, cittadina e imprenditoriale, non solo sulla sua pelle, ma soprattutto
sulla sua identità.
Il titolo della “La Voce della Provincia”, dalla quale ho
attinto le notizie, è profetico ed emblematico:
“ABBIAMO VINTO UNA BATTAGLIA MA IL CAMMINO E’ANCORA
LUNGO”
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