Quello che accadde il
6 maggio del 1919, quasi cento anni fa, a Torre Annunziata, ci dimostra che la mentalità di allora non fosse molto lontana da quella di oggi, rapportandoci alle tragiche e continue notizie di cronaca sul femminicidio.
Ricordiamo il fatto.
Un uomo di 42 aveva sedotto una
ragazza di 16 e per questo, onde evitare l’arresto, aveva dovuto sposarla.
A quei tempi si usava così, era di legge il cosiddetto “matrimonio riparatore”.
Dopo le nozze aveva iniziato a
torturare la giovane fino a ferirla con delle coltellate al braccio.
La poverina scappò a casa dei suoi
genitori per rifugiarsi.
Non fu sufficiente, l’uomo si armò di
due pistole, arrivò a casa dei genitori della moglie e iniziò a sparare.
Per fortuna, perché è così che
dobbiamo dire di questa vicenda, riuscì ad uccidere solo la mamma della
ragazza.
Il matrimonio riparatore era una
soluzione adottata per sistemare una situazione ritenuta, per una ragione o per
l’altra, disonorevole per le persone coinvolte, per cui potremmo chiamarlo
matrimonio forzato.
Era concepito come una forma di risarcimento e di
tutela per la donna, che avendo perduto l’onore, non avrebbe più potuto essere
presa in moglie da nessun altro uomo.
Se guardiamo un attimo indietro potremmo renderci
conto che, se da una parte la vittima poteva ritenersi “ripagata” almeno
nell’onore, dall’altra parte è veramente assurdo pensare che la stessa donna,
vittima del suo carnefice, per salvare l’onore doveva essere costretta a
sposarlo!
Il “matrimonio riparatore” è stato abolito dal
Parlamento, finalmente, nel 1981.
Grazie al coraggio di una giovane siciliana, Franca
Viola e la sua famiglia, che non vollero cedere alla malvagità di Filippo
Melodia, nipote di un noto mafioso locale e membro di una famiglia benestante.
Era il 1981, ripeto.
Non il 1800 oppure il 1900!
Meglio tardi che mai.
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